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Carige prova a convincere la Bce con una nuova strategia che corregge il tiro rispetto a quella presentata nel febbraio scorso. Ieri il consiglio di amministrazione della cassa genovese ha approvato una manovra da 700 milioni con l’obiettivo di realizzarla entro la fine dell’anno. Due i cardini del piano: un aumento di capitale con diritto d’opzione da 500 milioni (per cui c’è già un accordo di pre-garanzia con Credit Suisse e Deutsche Bank) e un corposo pacchetto di cessioni principalmente immobiliari che potrebbe valere 200 milioni di patrimonio (circa 150 milioni di plusvalenze al netto degli oneri fiscali e 50 milioni come impatto sui risk-weighted asset).

Carige intende infatti mettere sul mercato i pezzi migliori del proprio portafoglio strumentale, come la sede londinese di Hornton Street, quelle milanesi di Corso Vittorio Emanuele e Via Spadari e quella romana di Via Bissolati. Sulle sedi genovesi, invece, sarebbero ancora in corso riflessioni, forse per ragioni di carattere identitario. In generale per alcuni asset sarebbero già arrivate manifestazioni di interesse, anche se la trattativa potrebbe entrare nel vivo solo dopo la pausa estiva. Sul mercato è finita anche la controllata Creditis.

Per quanto riguarda l’aumento di capitale, il nuovo importo tiene conto della perceived profitability dell’istituto e della disponibilità del mercato a scommettere sul rilancio. L’ad Paolo Fiorentino (nella foto) starebbe infatti predisponendo una nuova versione del piano industriale, con obiettivi più aggressivi in termini di redditività e di controllo dei costi. Sulla base di quei target il banchiere è confidente che Carige possa chiedere mezzo miliardo senza rischiare quote consistenti di inoptato.

Resta confermata la volontà di deconsolidare i crediti deteriorati, anche se la modalità cambierà. Il progetto di scissione si sarebbe infatti rivelato di difficile realizzazione, anche per lo spinoso tema del recesso. Carige ha dunque deciso di conferire le non performing exposure (Npe) in una piattaforma di gestione inizialmente controllata dalla banca. L’obiettivo è aprire il capitale a un investitore specializzato, consentendo a Carige di deconsolidare lo stock e di beneficiare dell’eventuale upside del portafoglio conferito. È invece in fase di completamento la cartolarizzazione da 940 milioni con Gacs orchestrata da Banca Imi e Prelios. Il rating delle agenzie sarebbe infatti atteso a giorni e, a qualche punto, basterà solo emettere le notes.

Quanto alle tempistiche, resta confermata la scadenza di fine anno prevista dal piano del febbraio scorso. L’assemblea straordinaria per approvare l’aumento potrebbe essere convocata già dal prossimo cda di martedì 11 e potrebbe pertanto riunirsi a settembre. È lecito attendersi l’avvio dell’offerta sul mercato nel corso dell’autunno, contemporaneamente al deconsolidamento degli npe. L’intero schema è però soggetto all’approvazione della Bce che, nel corso dell’ultimo anno, non ha certo fatto sconti a Carige. Il maggiore elemento di perplessità potrebbe essere rappresentanto dal fattore tempo visto che, con un mercato ancora freddo, la cessione degli immobili strumentali non si preannuncia brevissima.

Quel che è certo è che, al di là delle tematiche di carattere finanziario, oggi Carige ha anche un problema di governance. Dopo le cinque dimissioni del mese scorso e le parziali cooptazioni, nel board della banca genovese i consiglieri indipendenti non esecutivi sono ormai ridotti al lumicino. Soprattutto quelli che rappresentano operatori di mercato. Per una banca che si appresta a chiedere mezzo miliardo alla borsa non è certamente un segnale incoraggiante. Sempre ieri intanto la squadra manageriale è stata rafforzata con la nomina di Andrea Soro nella carica chief financial officer.

(Pubblicato su MF/Milano Finanza, quotidiano diretto da Pierluigi Magnaschi)

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