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Da quando è avvenuto l’attacco iraniano nei confronti di Israele, commentatori ed esperti hanno fatto a gara nell’evocare l’ineluttabilità di una risposta di Gerusalemme, a sua volta foriera di peggiori conseguenze per l’umanità tutta. La pacata reazione odierna dello Stato ebraico, che non si discosta di molto da quanto sinora praticato, induce tuttavia a un ragionamento diverso.

Israele deve la sua sopravvivenza come nazione all’esercizio sistematico della dissuasione nei confronti dei suoi vicini. Ben cosciente dell’immaginario collettivo di coloro che lo circondano, lo Stato ebraico ha compreso sin dalla sua fondazione che solo l’uso della forza – o la minaccia del medesimo – può garantire la sua sopravvivenza. E di essa ha fatto uso, normalmente legittimo, qualche volta ai limiti del lecito, ogni qualvolta si è sentito minacciato. In ciò protetto a distanza dal grande alleato statunitense, che è legato a Gerusalemme da un’antica consuetudine.

Ora tuttavia sembra che il principio della dissuasione si sia infranto. L’attacco di Hamas prima, l’offesa diretta iraniana dopo, e le remore statunitensi durante, lasciano capire che la paura non fa più novanta. E non fa più novanta in particolare nei confronti di Teheran, che rappresenta da tempo una minaccia esistenziale per Gerusalemme.

Bisogna dunque chiedersi che cosa Israele possa fare al riguardo. Occorre partire da una premessa. Lo scopo istituzionale di Israele è quello di proteggere gli ebrei da un nuovo Olocausto, garantendo loro un focolare nazionale sicuro. Si può pertanto immaginare che nelle attuali condizioni l’obiettivo da perseguire sia rappresentato da frontiere sicure e abitanti incolumi in casa propria. Il che conduce direttamente alla situazione di questi giorni. Hamas ha attaccato il territorio israeliano dalla striscia di Gaza a ottobre scorso e deve pertanto essere neutralizzato affinché ciò non si ripeta. Diverso è il discorso circa l’attacco iraniano. Esso è ufficialmente una risposta alla politica di eliminazione di figure-chiave adottata da Gerusalemme nei confronti del principale agente di prossimità di Teheran in Medio Oriente, ovvero Hezbollah. La milizia libanese rappresenta infatti una minaccia diretta nei confronti della parte settentrionale dello Stato ebraico e pertanto va contenuta, dal momento che neutralizzarla del tutto risulterebbe troppo dispendioso e non necessariamente fattibile. Da ciò l’attacco sistematico e protratto nel tempo contro persone, strutture, materiali e installazioni che rappresentano il collegamento tra l’Iran e il proprio succedaneo, così da interromperne contiguità e sostegno.

In questo contesto, proseguire il contenimento nei confronti di Hezbollah appare la scelta più logica rispetto a un attacco diretto e massiccio contro Teheran. L’Iran, infatti, è un boccone troppo grosso da ingoiare per Israele, né si comprende quale dovrebbe essere la natura di un attacco tale da mettere il Paese in ginocchio. Un Paese immenso, milioni di abitanti, grandi città, un apparato industriale ed estrattivo articolato e distribuito su tutto il territorio, una pletora di formazioni militari e di sistemi d’arma anch’essi distribuiti ovunque. Come neutralizzare un avversario del genere in un colpo solo? E se non lo si neutralizza al primo colpo, come impegnarsi con successo in un successivo conflitto dispendioso, prolungato e da condurre a migliaia di chilometri da casa propria? Ma, al di là di queste considerazioni di natura tecnica, e delle indubbie conseguenze sulla stabilità internazionale di un simile agire, sarebbero sostenibili da parte di Israele due contemporanei sforzi principali, non contigui e dissimili, uno terrestre e navale contro Hamas e uno aereo e missilistico contro l’Iran? Senza dimenticare due contemporanei sforzi sussidiari, uno terrestre a protezione degli insediamenti nei Territori occupati, e un altro terrestre e aereo nel settentrione per contenere Hezbollah. Quattro sforzi simultanei? Una follia per qualunque Paese, ma in particolare per uno Stato minuscolo e dalle risorse tutto sommato limitate, che deve la sua sopravvivenza alla capacità di mobilitare in fretta per difendersi al volo da una minaccia e di smobilitare altrettanto in fretta per liberare le risorse umane necessarie alla sua economia.

Un attacco diretto e massiccio contro l’Iran rappresenterebbe perciò un salto nel buio, dalle conseguenze imprevedibili. Oltretutto, un salto nel buio non strettamente necessario. Se è vero infatti che l’attacco iraniano, ancorché coronato da scarso successo, è stato tutt’altro che dimostrativo, Israele ha dimostrato comunque di possedere la capacità di neutralizzarlo. Nel contempo, la coesione mostrata da numerosi Paesi nel contrastarlo al fianco di Israele – arabi compresi – dimostra che la misura nei confronti di Teheran è colma. Il passo successivo sarà verosimilmente quello di costituire un sistema informale di sicurezza collettiva in funzione anti-iraniana. Si tratta quindi di attendere. Israele non può da solo affrontare la sfida della teocrazia sciita. Non ne ha la forza. Ma può approfittare della straordinaria opportunità offerta dalle presenti circostanze per farsi aiutare. Nel contempo deve trovare una soluzione alla questione palestinese, perché essa è suscettibile di compromettere la tenuta del Paese nel lungo termine. Da ultimo, deve continuare ad agire per permettere ai suoi abitanti ai confini con il Libano di vivere tranquilli. Questi sono i veri problemi esistenziali del Paese, e ce n’è quanto basta. Non è il momento di fare salti nel buio, né di osare l’impossibile. L’Iran può aspettare. È fortemente probabile – oltre che auspicabile – che a Gerusalemme ne siano consapevoli.

Primo, sopravvivere. Un ragionamento sulle scelte di Israele

Di Giorgio Cuzzelli

Israele non può da solo affrontare la sfida della teocrazia sciita. Non ne ha la forza. Nel contempo, deve trovare una soluzione alla questione palestinese, perché essa è suscettibile di compromettere la tenuta del Paese nel lungo termine. Da ultimo, deve continuare ad agire per permettere ai suoi abitanti ai confini con il Libano di vivere tranquilli. Questi sono i veri problemi esistenziali del Paese. Non è il momento di fare salti nel buio. L’Iran può aspettare. Scrive il generale Giorgio Cuzzelli, docente di Sicurezza e studi strategici alla Lumsa di Roma

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