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Al summit dei ministri della Difesa della Nato in programma oggi a Bruxelles si discuterà di molte cose. In cima all’agenda, oltre al nodo dei finanziamenti aggiuntivi che Trump ha ripetutamente preteso dagli altri membri dell’organizzazione, c’è una questione non da poco: l’Afghanistan, dove è attualmente operativa l’operazione Resolute Support, avviata due anni fa dopo che la precedente missione ISAF è giunta alla sua conclusione.

Resolute Support conta attualmente su 13.450 uomini – 6.900 dei quali americani – impegnati nell’addestramento dell’esercito regolare afghano. Resolute Support non prevede invece operazioni “combat”, come la missione che l’ha preceduta, anche se nel Paese assai spesso gli americani usano la forza contro obiettivi nemici, come hanno fatto qualche settimana fa con un certo clamore sganciando la “madre di tutte le bombe” MOAB su un nucleo di combattenti dello Stato islamico.

Secondo le anticipazioni fornite alla stampa, la discussione a Bruxelles verterà soprattutto sul numero di truppe addizionali da inviare in Afghanistan, dove la situazione della sicurezza si sta rapidamente deteriorando. Come ha dichiarato in conferenza stampa ieri il segretario generale dell’Alleanza Jens Stoltenberg (nella foto), quindici membri Nato hanno già promesso di inviare nuovi uomini. Tra questi c’è la Gran Bretagna, che attraverso il suo Segretario alla Difesa Michael Fallon ha garantito che aumenterà il contingente britannico di altre cento unità. Stoltenberg ha precisato che il numero preciso di forze aggiuntive sarà chiarito alla ministeriale di oggi.

Ma la vera questione non è tanto sui numeri, quanto sulla strategia da perseguire. Gli alleati europei sono preoccupati per la mancanza di chiarezza sugli obiettivi della missione, in un momento delicato in cui non solo i talebani si sono ripresi gran parte dei territori che controllavano prima della guerra del 2001, ma bisogna fare i conti anche con la crescente infiltrazione dello Stato islamico, che considera l’Afghanistan una provincia del suo califfato, il Khorasan, che nella mappa dell’IS comprende anche il Pakistan.

I ministri europei si aspettano dal segretario alla difesa Mattis, il cui intervento al summit di oggi è certamente il più atteso, indicazioni più chiare sulla prospettiva di una missione che opera in una situazione abbondantemente precaria e sembra mancare di obiettivi precisi, incluso un potenziale (e già in corso sotto traccia) negoziato con i talebani. Il generale Mattis non a caso è stato contestato anche in patria, in particolare dal potente senatore John McCain, che è solo una delle tante voci che esprimono perplessità su una guerra che dura ormai da 16 anni e che non solo non sta ottenendo i risultati prefissati, ma molti considerano praticamente persa.

Dal canto suo, Mattis ha promesso che riferirà i contenuti delle discussioni al suo ritorno al capo degli stati maggiori riuniti generale Joseph Dunford e al segretario di Stato Rex Tillerson. “A quel punto”, ha precisato Mattis, “presenteremo al presidente una strategia che sia stata concordata con gli alleati, e studieremo una cornice che sia regionale nella natura e nel suo focus, che consiste in questo: come finiamo questa guerra.”

Non è dato sapere se l’Italia faccia parte dei 15 Paesi che hanno promesso di mandare in Afghanistan truppe fresche. Non risultano dichiarazioni in tal senso dal ministro Roberta Pinotti. Ma è probabile che alla fine anche il nostro Paese fornirà il suo contributo, probabilmente con l’aspettativa di ricevere in cambio l’attenzione americana sul fronte che più ci interessa: quello libico.

Che cosa bofonchia l'Europa nella Nato sull'Afghanistan

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