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L’università sembra essere diventata uno dei molti fronti della competizione geopolitica globale, con casi di spionaggio e ingerenza in crescita. Dagli accordi con gli atenei italiani a quelli con le univeristà europee, ecco la fitta architettura di partnership, istituti culturali e campus congiunti che permettono al Dragone di estendere la propria impronta ben oltre i confini cinesi.

In Italia

Secondo Gabriele Carrer, giornalista esperto di sicurezza nazionale, oggi esisterebbero 21 accordi tra atenei italiani e le università cinesi note come “sette figli della difesa nazionale”, istituti formalmente civili ma di fatto integrati nella strategia militare di Pechino e classificati come “ad altissimo rischio” di trasferimento tecnologico.

Questi atenei, che lavorano principalmente su settori sensibili (missilistica, aerospazio, navale, droni, AI, materiali avanzati), sono de facto parte integrante della fusione civile-militare voluta da Xi Jinping, con flussi costanti di laureati verso l’industria della difesa cinese.

Carrer, citando Daria Impiombato (Merics), evidenzia due rischi principali per il Sistema-Paese italiano: furto di proprietà intellettuale e dispersione di know-how nei settori dual use; pressioni sulla libertà accademica, con possibili autocensure su temi sensibili (Taiwan, diritti umani) e influenza del Partito comunista cinese sugli ambienti universitari partner.

Nel dettaglio, il giornalista individua come sei dei sette atenei cinesi (tutti tranne la Harbin Engineering University) abbiano almeno un accordo con università italiane: tra queste, Politecnico di Torino, Firenze, Genova, Bologna, Siena, Roma “La Sapienza”, Pisa, Parma, Pavia, Napoli “Parthenope”, Cassino, con intese spesso di lungo periodo e ampio spettro disciplinare, non limitate all’ingegneria. L’analisi di Carrer evidenzia poi un ulteriore tema di importanza primaria, rintracciabile nella presenza degli Istituti Confucio sul suolo italiano (12 più 3 “Classi Confucio”, sottolinea l’autore) che, nonostante i loro legami con la propaganda del partito-stato cinese, non troverebbero reale attività di controllo e limitazione presso gli atenei italiani.

Ma in Europa?

L’Europa universitaria è ormai uno dei laboratori più densi della diplomazia accademica cinese. Secondo i dati più recenti, sarebbero almeno 416 le collaborazioni sostanziali con atenei europei: joint institutes, master congiunti, laboratori di ricerca, piattaforme di dottorato. I campi più frequentati sono quelli dove l’interesse politico e tecnologico è più alto, come nei settori di ingegneria, informatica e data science, economia e management, seguiti da scienze della vita e medicina.

Le collaborazioni più note risultano quella tra la Xi’an Jiaotong–Liverpool University di Suzhou, creata nel 2006, e la University of Nottingham Ningbo China, nata nel 2004. Due campus “sino-britannici” che offrirebbero corsi in inglese, titoli doppi e governance mista. In entrambi i casi, gli studenti si muoverebbero dentro un ecosistema ibrido, caratterizzato da standard accademici europei e da supervisione regolatoria cinese. Sono università joint venture nel senso pieno del termine, con docenti, curricula e risorse condivisi.

Altrettanto rilevante è la Sino-European Engineering Education Platform (Seeep), che unisce 12 politecnici europei (tra cui Politecnico di Torino, Kth Stoccolma, Técnico Lisboa) e 18 università cinesi d’élite. La piattaforma coordina dottorati congiunti, mobilità di ricercatori, sviluppo di materiali didattici e progetti comuni su energia, trasporti e Ict. Analogamente, il laboratorio congiunto tra la Fudan University Shanghai Cancer Center e l’Institut Mérieux francese, finanziato anche da programmi europei come Immunocan, opera su oncologia e immunoterapia, segnando un caso non comune di cooperazione biomedica paritaria tra Cina ed Europa.

Accanto ai laboratori e ai campus, gli Istituti Confucio si muovono anche a livello europeo. Secondo i dati incrociati del portale ufficiale ci.cn e del repertorio indipendente DigMandarin (aggiornato al 2024), questi sarebbero presenti in quasi tutti i principali sistemi universitari europei. In Italia ne esistono tre strutturati e molto attivi: alla Sapienza di Roma, all’Università di Macerata e all’Università di Bologna. Il Confucio della Sapienza, il secondo aperto in Europa, è stato più volte premiato da Pechino come “Outstanding” e “Pioneer”; quello di Macerata è considerato “modello europeo” per la sinergia tra studi giuridici, economici e linguistici; Bologna ne fa una piattaforma permanente per certificazioni business, esami Hsk, corsi di lingua e altre iniziative culturali.

Mentre, in Irlanda, l’Istituto Confucio presso University College Dublin fungerebbe da centro nazionale per la certificazione linguistica; in Regno Unito la rete sembrerebbe più fitta.  Da Manchester a Edimburgo, da Leeds a Londra (Ucl, Goldsmiths, Ioe), e spesso specializzata per settori (business, arti, medicina tradizionale). In Germania se ne contano circa 19, associati a università come Heidelberg, Bonn, Göttingen, Freiburg ed Erlangen-Nürnberg. Altri nodi forti si trovano a Ginevra, Vienna, Budapest, Belgrado, Lubiana, Granada, Barcellona, Valencia, Lisbona e Aveiro.

La funzione di questi istituti va oltre la didattica linguistica, sconfinando pienamente in veri e propri avamposti per l’espansione della sfera di influenza di Pechino e come centri per l’espansione del proprio soft power. Alcuni Paesi, come la Svezia, li hanno chiusi per timori di influenza politica; altri, li hanno consolidati come strumenti di interscambio stabile. E quello che emerge è una mappa disomogenea, ma coerente con l’espansione del soft power cinese in Europa.

Difendere l’ordinario

Ogni volta che un nuovo caso emerge, dalle tecniche di Humint allo spionaggio scientifico su biotecnologie o competenza Stem, torna all’interno delle agende politiche e mediatiche un tema che dovrebbe, in realtà, ricevere attenzione primaria: come preservare l’apertura dei sistemi accademici e di ricerca occidentali di fronte alle infiltrazioni strategiche degli attori ostili? Come preservare la collaborazione di ricerca di fronte alla competizione, lo spionaggio e, guardando oltre, l’utilizzo di questa come terreno di sabotaggio? Ancora, di fronte alla complessità delle minacce ibride, l’occhio, l’orecchio ed il pensiero devono volgere alla difesa dell’ordinario. Nessuna attività, dalla più ordinaria a quella più eccezionale, dalla ricerca accademica alla cooperazione scientifica, è oggi estranea alla competizione globale.

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