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Negli ultimi giorni la retorica nucleare russa è tornata a occupare il centro della scena internazionale. Oltre a diffondere notizie e proclami sull’avvenuto test di “nuove armi”, il Cremlino ha annunciato di ponderare la ripresa dei test di ordigni nucleari, sulla scia di quanto affermato da presidente statunitense Donald Trump. Ma dietro le recenti dichiarazioni di Mosca su sistemi d’arma “innovativi” e le allusioni alla possibile ripresa dei test atomici, si nasconde altro. Per capire meglio al situazione, Formiche.net ha interpellato Polina Sinovets, direttrice dell’Odesa Center for Nonproliferation presso l’I.I. Mechnikov National University e visiting scholar dell’Istituto Affari Internazionali.

Come legge la nuova escalation nella retorica russa riguardo al nucleare, in particolare per quel che riguarda i “nuovi” vettori?

Non credo che debba essere presa troppo sul serio. Putin ha messo nuovamente in mostra armi già esistenti, che non impattano seriamente quella che è la stabilità strategica. I Minutemen o i Trident statunitensi, di cui Washington dispone in abbondanza, hanno lo stesso effetto del Burevestnik, giusto? E il fatto che ci siano uno o due di questi missili in volo, dove possono sì rimanerci per svariate ore, non impedisce agli Stati Uniti né di effettuare un eventuale first strike né di avviare la ritorsione nucleare. E anche per quanto invece riguarda l’introduzione del Poseidon nel calcolo, gli effetti sono relativi. Certo, minacciare di causare uno tsunami radioattivo che vada ad abbattersi su una città costiera statunitense è un effetto tremendo dal punto di vista della comunicazione. Ma in caso di guerra nucleare, esso avrebbe de facto lo stesso effetto distruttivo di un normale ordigno atomico, nei confronti delle stesse città. Certo, magari quest’arma può avere anche impieghi alternativi…

A quali impieghi si riferisce?

Alcuni parlano di un impiego più operativo del Poseidon, ad esempio per colpire le truppe terrestri statunitensi in caso di massiccio ridispiegamento in Europa, poiché con i sottomarini convenzionali di cui dispone ora la Russia non riuscirebbe a impedirne il passaggio. Probabilmente richiama per lo più scenari da Guerra Fredda, ma non bisogna dimenticare che il Poseidon è il progetto sovietico noto come Status-6, concepito per le guerre del XX secolo. Tuttavia, ribadisco, non credo che tutte queste super armi russe stiano in qualche modo violando quella stabilità strategica raggiunta molto tempo fa tra Russia e Stati Uniti. E non credo neanche che questo sia l’obiettivo di Mosca: al contrario, Putin ha proposto a Trump di prorogare il New Start, che in teoria non potrebbe essere prorogato perché è un trattato stipulato per 10 anni con una proroga di 5 anni, e tale proroga di 5 anni sta per scadere. Il Cremlino non dispone di molte forze, e specialmente di vettori nucleari. E mantenere i limiti previsti dal New Start indica che probabilmente non risorse per sostenere una corsa nucleare con Washington.

E allora cosa c’è dietro a questa retorica sempre più muscolare?

Questa stessa retorica è la dimostrazione di alcune delle vulnerabilità che la Russia sta affrontando in questo momento. Tipicamente, quando i russi realizzano di soffrire di alcune vulnerabilità, cercano di mascherarle con un’eccessiva dimostrazione di forza. Lo stesso discorso vale per la dichiarazione di Putin di riprendere i test nucleari. Il tutto sembra riflettere un crescente senso di insicurezza da parte di Mosca.

Pensa che la ripresa dei test sia qualcosa di fattibile? Oppure l’hanno detto solo perché l’ha detto anche Trump?

Lo dicevano da molto tempo. Parlavano di riprendere i test nucleari, qualora gli Stati Uniti lo avessero fatto a loro volta. Quindi ora possono provare a usare le dichiarazioni di Trump come scusa per riprendere effettivamente a condurli. Ovviamente, Mosca sarebbe drasticamente stigmatizzata per questo. Ma ho la sensazione che il Cremlino voglia davvero condurre qualche test, come una dimostrazione di forza. Magari, come suggerito già in passato da Karaganov, abbandonando il trattato sul divieto parziale dei test nucleari e facendo il test in atmosfera, solo per spaventare l’opinione pubblica mondiale, con conseguenze imprevedibili.

Sul piano politico?

Sì, ma anche su quello sociale. Magari la gente potrebbe scendere in piazza in Italia per chiedere la pace con la Russia, dicendo che non vogliono la guerra nucleare. Minando gli attuali governi, le loro posizioni di politica estere e la loro determinazione contro la Russia. Ma, per ora, sono solo congetture, fortunatamente.

Quanto pensate che questo ulteriore cambiamento nella retorica non sia legato al confronto tra Stati Uniti e Mosca, ma piuttosto alla specifica situazione ucraina?

La Russia non sta pensando solo all’Ucraina con queste azioni. Sta interpretando la guerra con l’Ucraina come una guerra globale con l’Occidente. Quindi, se si tratta di una guerra globale tra Russia e Occidente, qualsiasi dimostrazione di forza, qualsiasi parola di Trump, qualsiasi cosa stia facendo la Russia, non fa solo parte della guerra in Ucraina, che è un livello locale del conflitto globale. Al Cremlino hanno bisogno di mostrare all’Occidente che sono forti, potenti e spaventosi, così da agire in modo coercitivo per tenere l’Europa il più lontano possibile dal sostenere l’Ucraina, e anche per mostrare all’opinione pubblica, tanto occidentale quanto russa, che tutti devono rispettare e temere la Russia. Qualcosa che Putin ama fare. E che l’opinione pubblica della Federazione sembra apprezzare particolarmente.

Muscoli atomici, nervi scoperti. La retorica nucleare di Mosca nelle parole di Sinovets

La nuova retorica nucleare del Cremlino, tra vecchie armi rilanciate e minacce di test atomici, appare soprattutto come un tentativo di mostrare forza in un momento di incertezza. Più che modificare gli equilibri strategici, Mosca punta a influenzare percezioni e comportamenti di governi e opinioni pubbliche occidentali. Intervista con Polina Sinovets, direttrice dell’Odesa Center for Nonproliferation presso l’I.I. Mechnikov National University e visiting scholar dell’Istituto Affari Internazionali

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