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Questa volta è sbottato il pur mite, paziente, tollerante Sergio Mattarella, salito al Quirinale ormai quasi tre anni fa proprio grazie al suo carattere. Che forse indusse l’allora presidente del Consiglio Matteo Renzi a preferirlo al meno prevedibile e accomodante Giuliano Amato, giudice costituzionale pure lui, come allora Mattarella, e sostenuto a destra da Silvio Berlusconi e a sinistra da Massimo D’Alema, con una convergenza che insospettì l’inquilino di Palazzo Chigi. Ne ha scritto praticamente in questi termini lo stesso Renzi nel libro che ha copiato nel titolo la storica testata socialista togliendole però il punto esclamativo e il corsivo: Avanti.

Lo sbotto del presidente della Repubblica, come ho appreso da buona fonte, è stato causato da una indiscrezione del quirinalista del Corriere della Sera, Marzio Breda, ben introdotto sul colle più alto di Roma, che dava il capo dello Stato “indifferente” di fronte alla tentazione emersa dentro il Pd, prevalentemente fra i critici o gli avversari di Renzi, di fare allungare i tempi dello scioglimento delle Camere, in modo da spostare le elezioni politiche da marzo a maggio.

Ciò avrebbe potuto fornire altri mesi agli operosi colleghi di partito di Renzi per ammorbidirne le resistenze a rinunciare esplicitamente, senza le riserve opposte sinora, all’ambizione di tornare a Palazzo Chigi. Al contempo si sarebbe potuto lavorare meglio per approvare un paio di leggi oggi improbabili sia per questioni di tempo sia per contrasti politici, come il cosiddetto ius soli e la riduzione dei vecchi vitalizi riscossi dagli ex parlamentari, oltre alla soppressione dei nuovi.

È stata proprio quella “indifferenza” attribuita dal quirinalista del Corriere della Sera al capo dello Stato, che per trasformarsi in disponibilità avrebbe avuto bisogno di una richiesta esplicita dei partiti e di loro garanzie sulla praticabilità di un ulteriore tratto della legislatura, in modo da non trasformarlo in una semplice ed anche rischiosa perdita di tempo, a scatenare fra e nei partiti, secondo i gusti, proteste o speranze. Cui Mattarella in persona ha voluto tagliare la testa ordinando una nota che definisce “pura fantasia” le interpretazioni provocate dal pur da lui apprezzato quirinalista del Corriere. Che, dal canto suo, forse colto anche lui di sorpresa dalle reazioni al tentativo compiuto di intuire mosse e stati d’animo del presidente della Repubblica, ha scritto un nuovo articolo sostanzialmente riparatore, dove non si è trovata più traccia della “indifferenza” precedentemente attribuita a Mattarella.

La smentita del capo dello Stato può ora essere obiettivamente letta anche come un invito a partiti, correnti e personalità a desistere dal chiedergli ciò che lui non ha alcuna voglia di concedere, non fidandosi – credo giustamente – del terreno infido su cui potrebbe incamminarsi allungando i tempi di questa legislatura. Che, per come era partita, cioè col tentativo dell’allora segretario del Pd Pier Luigi Bersani, stoppato vigorosamente al Quirinale, di improvvisare un governo velleitario “di minoranza e di combattimento” appeso agli umori di Beppe Grillo, ha già prodotto troppi miracoli. Fra i quali c’è anche l’approvazione di una nuova legge elettorale a larga maggioranza, per quante alte siano state e siano le proteste di ultrasinistra, ultradestra e grillini. Attendersi ancora altri miracoli sarebbe stato e sarebbe davvero imprudente, specie nella inevitabile tossicità di una campagna elettorale che si trascina già da quasi un anno, cioè dalla sconfitta referendaria di Renzi sulla riforma costituzionale.

Non dev’essere stata infine estranea alle ragioni dello sbotto di Mattarella la preoccupazione di allentare la blindatura della Banca d’Italia prodotta dalla decisione appena annunciata dai presidenti delle Camere di limitare i tempi della commissione d’inchiesta parlamentare sul sistema bancario, interrompendoli nel giorno dello scioglimento delle assemblee legislative, e non all’insediamento delle nuove. Come altri avrebbero voluto, anche in deroga ai precedenti cui si è richiamato il presidente della stessa commissione, Pier Ferdinando Casini, definendo “ineccepibile” la risposta di Pietro Grasso e di Laura Bordini a una sua richiesta scritta di chiarimenti sull’agenda degli inquirenti.

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