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L’Italia non attira gli investitori stranieri e la colpa è della giustizia civile “che è semplicemente troppo lenta”, per dirla come John R. Phillips, ex ambasciatore degli Stati Uniti. Il risultato? Gli investimenti diretti americani attratti dall’Italia nel 2015 ammontano a soli 22,5 miliardi, appena lo 0,8% del totale. In poche parole, siamo uno dei paesi in cui l’impresa americana crede di meno. Ci surclassano la Germania (3,7%), la Francia (2,7%) e la Spagna (1,2%).
Questo il quadro emerso dal convegno del 5 luglio scorso a Milano, promosso dall’associazione Fino a prova contraria fondata da Annalisa Chirico. Nella sede della Fondazione Feltrinelli si sono dati appuntamento numerosi esperti, fra cui Simone Crolla, amministratore delegato di AmCham Italy, la camera di commercio americana in Italia. È stato lui a tracciare l’impietoso ritratto del nostro paese, e a fornire una possibile ricetta per snellire la burocrazia italiana e recuperare competitività.

LA DIAGNOSI
Gli americani, tanto per cominciare, ci vedono come un paese corrotto e sotto scacco da parte della criminalità organizzata. “La corruzione e il crimine organizzato sono significativi impedimenti agli investimenti e alla crescita economica di parti dell’Italia, e costano al paese circa 60 miliardi l’anno di risorse pubbliche sprecate”. Lo scrive il Dipartimento di Stato sugli investimenti nel suo rapporto del 2016.
E non basta. Forse il più grande freno all’afflusso di capitali esteri nel Belpaese è rappresentato dalla giustizia civile. “Il sistema giudiziario civile, in Italia, è semplicemente troppo lento – ha dichiarato Philips – Questa è la percezione degli investitori americani, e oserei dire che è anche la percezione del popolo italiano e delle istituzioni internazionali”.
Crolla ha proseguito snocciolando una serie di classifiche in cui l’Italia annaspa. Qualche esempio: Secondo i dati forniti dalla Banca Mondiale, sui tempi della giustizia civile siamo 108esimi su 150: da noi ci vogliono in media 1120 giorni per arrivare a una sentenza. Negli Usa appena 420, in Germania 499.
In quanto a efficienza del quadro giuridico le cose vanno anche peggio: siamo 136esimi su 138.
Infine, Transparency International indica che nella classifica l’indice di corruzione percepita l’Italia è sessantesima (su 176), mentre gli Stati Uniti sono diciottesimi e la Germania decima. Si spiega quindi così la scarsa competitività del nostro paese nell’attrarre investimenti da parte delle imprese americane.
Crolla ha elencato alcuni dei “colli di bottiglia” che ingessano il sistema giudiziario italiano. Per esempio il numero troppo elevato di tribunali e i costi, relativamente bassi, per poter avviare un processo causerebbero un intasamento di cause pendenti, aggravato dalla lentezza e dalla complessità delle procedure.

LE POSSIBILI “CURE”
Una possibilità per uscire dall’impasse potrebbe essere seguire l’esempio degli Stati Uniti, il primo paese che nel 1977 si è dotato di una legge contro la corruzione internazionale e ha imposto regole ferree per la tracciabilità dei flussi finanziari e sulla tenuta dei bilanci.
Ma è soprattutto sulla gestione dei tribunali che gli Stati Uniti possono “dar lezioni” all’Italia, almeno nelle tesi suggerite dall’ad di AmCham. Il principio su cui si poggia la giustizia americana, introdotto nel 1968 dall’allora Presidente della Corte Suprema Warren Burger, è che i giudici dovessero concentrarsi esclusivamente sui processi lasciando l’amministrazione dei tribunali in mano a manager professionisti, il Court Management. “Da allora l’organizzazione della giustizia è affidata ad agenzie ad hoc, non ministeriali” ha spiegato Crolla. Il risultato? Un ricorso maggiore della conciliazione che ha snellito in maniera imponente i procedimenti che arrivano alla decisione della Corte Suprema, che sono appena l’1%
Sicuramente un modello diverso rispetto a quello vigente in Italia, dove vige un Tribunale delle imprese in ogni capoluogo peraltro “carente per efficienza e specializzazione”, ha sottolineato Crolla.
Un confronto, quello fra il sistema statunitense e quello italiano, che Crolla ha esemplificato nel caso Parmalat, accostato alla bancarotta di Enron. Il primo processo, in Italia, è durato 6 anni, il secondo, in Usa, appena 4 mesi.

Crolla ha fornito la sua ricetta per risolvere il problema. “Occorre investire nella digitalizzazione degli atti, sviluppare gli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie, rivedere il sistema di appello e di accesso alla Cassazione”. E poi, basta alla “proliferazione di tribunali per le imprese. Ne basterebbero tre in altrettante macroaree: Milano, Torino e Roma. Servirebbero poi “un ridisegno degli assetti di governance degli uffici giudiziari e l’introduzione di criteri di managerialità e valutazione delle performance”. Insomma un modello di giustizia un po’ più vicino ad una concezione “d’impresa”.
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Consigli americani per snellire e sveltire burocrazia, giustizia civile ed economia in Italia

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