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Le difficoltà di Angela Merkel, il tonfo di Martin Schulz, la netta affermazione della destra dell’AfD. Il voto tedesco di domenica scorsa alimenta dubbi e interrogativi a proposito della situazione politica in Germania e in Europa. Domande che Formiche.net ha posto a Paolo Magri, vicepresidente e direttore dell’Ispi e professore di Relazioni internazionali all’Università Bocconi. Ecco le sue risposte.

Professore, perché i due partiti storici tedeschi – Cdu e Spd – hanno ottenuto entrambi il loro peggior risultato dal 1950?

Le ragioni sono molteplici. Da un lato c’è il fisiologico affaticamento degli elettori della Cdu/Csu, trovatisi a fare i conti con la mancanza di alternative rispetto alla leadership di Angela Merkel. Dall’altro c’è la delusione di chi sperava che il leader socialista Martin Schulz sarebbe riuscito a proporre un’alternativa coerente e credibile alle politiche della grande coalizione. Invece il suo messaggio si è rivelato spento e povero di contenuti, mentre Merkel ha fatto una campagna incentrata più sulla garanzia di continuità e stabilità che su proposte concrete.

Lo scenario emerso dal voto tedesco sembra in linea con quello emerso dalle elezioni che si sono svolte in altri Paesi europei. E’ così?

La tendenza degli elettorati a spostarsi verso le ali estreme dello schieramento è comune a tutta l’Europa. Lo abbiamo visto in Spagna, in Francia, in Austria, nei Paesi Bassi e adesso in Germania. Probabilmente sarà così anche in Italia. Il messaggio populista passa soprattutto in Paesi in cui l’establishment è ritenuto colpevole di una gestione deficitaria sia dei flussi migratori, che degli effetti della crisi economica. Senza dimenticare che la Germania sarà pure in piena occupazione, ma lo è grazie a politiche di moderazione salariale che non hanno permesso ai lavoratori, oggi molto spesso precari, di vedere le proprie incertezze lavorative controbilanciate da stipendi più alti.

Come si spiega questa affermazione dell’AfD?

È sicuramente parte di una reazione identitaria forte, da non sottovalutare. L’AfD ha aumentato i propri consensi proprio nel momento in cui il partito ha compiuto la propria transizione da una narrazione euroscettica, ancora molto accademica ed elitaria, a una anti-migratoria in grado di parlare alla pancia delle persone. Mentre resta da capire se un partito che ospita opinioni politiche molto variegate riuscirà a trovare un proprio punto di caduta e a non farsi dilaniare dalle tensioni interne. Quel che è certo è che l’AfD è riuscito sinora a cavalcare sapientemente l’insoddisfazione e le paure di uno strato non marginale di elettorato. Basti pensare che i suoi più grandi successi si registrano nell’ex Germania dell’est, dove ha sottratto molti voti alla sinistra di Die Linke (dimostrando ancora una volta che gli opposti a volte si toccano), e in Baviera, dove maggiormente è cresciuto il sentimento anti-migranti.

Si tratta davvero di un partito xenofobo e pericoloso come viene descritto da molta stampa? Una dei leader del partito, Alice Weidel, è una lesbica che convive da anni con una donna proveniente dallo Sri Lanka.

È un movimento che al proprio interno ospita molte anime. E di sicuro Alice Weidel ne rappresenta una parte più moderata e “vendibile” – quella che meglio ha saputo controbilanciare gli eccessi xenofobi, quando non apertamente razzisti e persino nazisti, di alcune delle sue seconde file. Va ricordato però che il partito ha un programma di difesa della famiglia tradizionale ed è dichiaratamente contrario agli altri modelli di famiglia: i nodi nei prossimi mesi potrebbero dunque venire al pettine, soprattutto perché adesso l’AfD non è più solo una forza extraparlamentare, ma sarà costretta a prendere posizione su concrete proposte di policy. Basterebbe chiedersi: come avrebbero votato lo scorso giugno i parlamentari AfD alla legge sui matrimoni tra persone dello stesso sesso?

Guardando al di fuori dei confini tedeschi a quale movimento politico pensa che Afd somigli di più? Al Front National di Marine Le Pen? A Donald Trump?

L’AfD era nata come una forza molto più elitaria ed elitista, difficilmente paragonabile a partiti e movimenti identitari come il Front National, o provincial-populisti come i repubblicani sotto Trump. A lungo andare però il movimento si è sempre più avvicinato ai modelli “vincenti” degli altri Paesi, ispirandosene apertamente. La narrazione dell’AfD negli ultimi due anni è dunque diventata apertamente “lepeniana”: dagli appelli nazionalisti e anti-globalizzazione alla critica dell’euro come simbolo di un progetto federalista, fino a cavalcare l’onda di risentimento e paura generata dall’ingente ondata migratoria. Diversamente da Trump, invece, c’è una retorica meno urlata, più europea e continentale. Insomma, un partito più vicino a Le Pen. E ciò nonostante il fatto che la stessa Le Pen probabilmente non vedrebbe bene un’Europa a guida tedesca, neanche se al governo vi fossero esponenti dell’AfD.

E in Italia? Più al MoVimento 5 Stelle o alla Lega?

Sulle tematiche anti-migranti e anti-islam è chiaro che l’AfD sia più vicina alla piattaforma politica della Lega. C’è però innanzitutto una specificità tutta tedesca, che è il riferimento del partito a un passato non certo glorioso della Germania. E poi regge meglio il paragone precedente, quello con i movimenti ultraconservatori e xenofobi d’oltralpe. La differenza la fa probabilmente quanto si “crede” al messaggio che si manda: la Lega di Salvini, pur di diventare primo partito dell’area di centrodestra, sta moderando il proprio messaggio, rinunciando persino a criticare l’euro e dando una chance all’Europa. Si rinuncia al “verde” per indossare il “blu”, insomma. L’esatto opposto dell’AfD, che ha ottenuto il proprio miglior risultato senza moderare il proprio messaggio. Chissà che però il motivo del loro più grande successo non si riveli, nei prossimi anni, anche il loro più grande limite. Così come è stato per Le Pen alle elezioni di maggio.

Paolo Magri (direttore Ispi)

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