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Mancano meno di 48 ore all’apertura dei seggi in Germania. L’Europa tutta attende con trepidazione il responso delle urne. È vero che i sondaggi danno la Cdu della Kanzlerin Angela Merkel al 37 per cento mentre l’Spd si attesta al 24 per cento e l’esito pare scontato. L’Unione (Cdu e Csu bavarese) si dovrebbe piazzare al primo posto. E Merkel dovrebbe tornare a guidare, per la quarta volta, il Paese. L’iniziale entusiasmo per il suo sfidante, il capo dei socialdemocratici Martin Schulz si è dissolto più o meno nel giro di una notte.

Ma perché? Perché i tedeschi in tempi incerti come questi preferiscono la stabilità? Perché sono dell’avviso che “chi punta a esperimenti è meglio che vada dal dottore”, come ebbe a dire una volta l’ex cancelliere socialdemocratico Helmut Schmidt? Oppure perché a ben vedere i programmi dei due partiti popolari (ma c’è chi parla già di ex partiti popolari, almeno per quel che riguarda l’Spd) nei fatti non si differenziano poi molto? E se così è, perché mai scambiare Merkel, che da dodici anni guida il Paese e ha saputo tenere la barra dritta anche in tempi molto agitati, con il nuovo arrivato (per quel che riguarda la politica interna) Schulz?

Non è del tutto vero che la maggioranza dei tedeschi punti a un’altra grande coalizione. Quello che vorrebbero è una coalizione guidata da Merkel non necessariamente però insieme all’Spd, ma preferibilmente insieme a uno dei partiti minori, per esempio i liberali dell’Fdp oppure (ma questo, almeno apertamente, tra i politici dell’Unione nessuno lo dice) i Verdi.

Per quel che riguarda invece i programmi di Unione e Spd, la convinzione della maggioranza degli elettori è che uno vale l’altro. Un punto di vista indotto ovviamente anche dalla legislatura che sta per chiudersi. In effetti è sempre difficile distinguersi quando si governa insieme, e il passato dimostra che è normalmente il partito di coalizione più piccolo ad essere penalizzato da questa cooperazione. Alle elezioni parlamentari del 2013 i liberali, precedentemente al governo, non erano riusciti nemmeno più a superare la soglia di sbarramento del 5 per cento. Lo stesso vale per l’Spd, che in questa legislatura è stato il motore di diverse riforme, ciò nonostante non riesce a trarne beneficio.

E non è nemmeno del tutto vero che i programmi siano pressoché identici. Le differenze ci sono. “E sono più grandi di quel che si pensa” scrive il settimanale Focus. È vero che il centro politico tedesco si è allargato molto negli ultimi anni “ma è sbagliato considerarlo un ammasso di posizioni vieppiù indistinguibili tra di loro”. Così facendo si dimentica per esempio che “in questo centro si trova una componente socialdemocratica e una componente cristiano-democratica”. Per questo Schulz sin dall’inizio ha puntato il dito contro le diseguaglianze sociali, mentre secondo la Cdu va sostanzialmente tutto bene, salvo apportare qua e là leggere modifiche. Insomma: “Per l’Spd il bicchiere risulta essere mezzo vuoto, mentre per la Cdu è mezzo pieno”. Questi sono gli slogan, ma concretamente in che cosa si distinguono i programmi?

A questa domanda ha voluto rispondere con qualche esempio il quotidiano Süddeutsche Zeitung.

Tasse. Per quel che riguarda il problema della crescente diseguaglianza sociale l’Spd punta ad alzare l’aliquota per i redditi più alti dal 42 al 45 per cento, ma al tempo stesso la soglia di reddito che ne sarebbe interessato, passerebbe dagli attuali 54mila euro a 76mila euro. Anche la Cdu promette un innalzamento, ma solo della soglia tassabile che passerebbe a 60mila euro.

L’Spd intenderebbe peraltro introdurre una tassa sui patrimoni più alti e tassare maggiormente gli eredi. Provvedimenti questi, che dovrebbero andare incontro alle aspettative delle fasce meno abbienti. La Cdu punta invece maggiormente alle famiglie. Per questo promette di non tassare in futuro più la prima casa e al contempo aumentare l’assegno per i figli e la quota detraibile per gli stessi.

Pensioni. Alla luce di una popolazione che invecchia sempre più, le pensioni sono state uno dei cavalli di battaglia su cui i due partiti hanno cercato di differenziarsi. Schulz promette una riforma che stabilizzi fino al 2030 l’età pensionabile e l’assegno. Inoltre, anche chi ha guadagnato poco deve poter contare su una pensione che gli permetta di vivere dignitosamente. Attualmente il sistema prevede che attraverso un innalzamento progressivo, i tedeschi nel 2029 potranno andare in pensione a 69 anni. L’importo attualmente corrisposto è pari al 48 per cento dello stipendio. Questa percentuale dovrebbe abbassarsi progressivamente, per arrivare nel 2030 al 43 per cento. Per Schulz invece, l’assegno non dovrà essere inferiore al 46 per cento. L’Unione dal canto suo non intende apportare modifiche fino al 2030.

Difesa e sicurezza. Un terzo punto che distingue i due schieramenti riguarda gli investimenti nella Difesa. Mentre l’Unione intende mantenere la promessa fatta in sede Nato di alzare la spese fino ad arrivare al 2 per cento del Pil, l’Spd è contraria. Sono invece entrambi d’accordo a incrementare le forze di sicurezza, assumendo 150mila poliziotti in più, per garantire (anche alla luce degli attentati terroristici degli ultimi anni, in Germania e in Europa) la sicurezza dei cittadini.

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