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Sin dalla prima stagione, noi maniaci di House of Cards ci siamo chiesti chi avesse ispirato la serie. I Roosevelt? Margaret Thatcher? Gli Underwood sono i Clinton scandagliati attraverso la lente dei complottari? Il dibattito è aperto, ma quando Donald Trump è salito alla ribalta, abbiamo cominciato a guardare Frank Underwood con occhi diversi. Entrambi sono guidati da un ego ipertrofico, sono spregiudicati e non hanno paura di violare le regole. La quinta stagione, però, ancora in onda, va oltre le affinità caratteriali e dimostra in modo evidente le facoltà di prescienza degli sceneggiatori, Frank Pugliese e Melissa James Gibson, o quanto meno un intuito narrativo eccezionale e una capacità di leggere in profondità il presente, di carpirne lo spirito, di cogliere gli umori di chi guida il paese e degli elettori. Più affidabili di un exit poll, più efficienti dell’ultimo Jim Messina.

LE ANALOGIE

La trama della quinta stagione è carica di nodi che fanno eco alle notizie di ogni giorno, fatti accaduti nel periodo delle elezioni 2016 e altri che stanno ancora avvenendo durante la presidenza Trump: un’elezione controversa e sorprendente in cui un candidato vince il Collegio elettorale e l’altro il voto popolare; la Casa Bianca sotto indagine, l’Fbi che sostiene che degli hacker abbiano alterato le elezioni e indaga su una possibile collusione della presidenza con la Russia; i membri del Congresso che vogliono mettere Underwood sotto indagine, dopo un’inchiesta giornalistica del Washington Herald.

E ancora, segnali di aggressione russa – nella realtà gli hackeraggi russi e i voli degli aerei militari sono stati visti come atti di aggressione e nella serie la Russia invade una base americana in Antartide; un divieto di immigrazione proposto dal presidente, nonostante il rifiuto del Segretario di Stato; audizioni davanti al Congresso; leaks; un attacco siriano di armi chimiche che scatena una reazione presidenziale.

COSA DICONO GLI SCENEGGIATORI

Gibson e Pugliese hanno raccontato a Daily Beast come siano riusciti ad anticipare tutti questi avvenimenti e come hanno reagito di fronte al loro avverarsi. La stagione comincia con il presidente Francis Underwood che vuole dichiarare guerra all’Ico (che nella finzione rappresenta l’Isis) per spostare l’attenzione della nazione lontano dagli scandali che lo riguardano e far leva sulle ansie degli americani. Per aumentare il livello di paura, impone un divieto di ingresso negli Stati Uniti per i musulmani. Quando Trump ha dato l’ordine esecutivo, persino gli sceneggiatori, che si avvalgono dell’aiuto di consulenti politici, sono rimasti colpiti: “Già molto prima di Trump c’era nell’aria una retorica crescente sugli immigrati musulmani. Un giorno, mentre parlavamo del primo episodio, abbiamo pensato: Sai, qualcuno potrebbe provare a farlo! Il fatto che poi sia accaduto davvero non sorprende, ma è scioccante”, spiega Pugliese. Le analogie non finiscono qui. Un’elezione incredibilmente simile si svolge tra il presidente Underwood e la sua impeccabile vice presidente Claire, contro il governatore repubblicano Will Conway, con WikiLeaks che diffonde registrazioni private dannose e l’ingerenza dell’Fbi. “Stavamo studiando cosa sarebbe necessario fare per rubare o manipolare un’elezione, e il fatto che fosse effettivamente possibile era spaventoso per noi, ma era qualcosa che dovevamo usare”, continua Pugliese. “Stavamo parlando di questo circa un anno fa, e avevamo tutti questi consulenti e avvocati elettorali che ci aiutavano e ci avvertivano che questo sarebbe potuto accadere, e poi è avvenuto davvero”.

PERCHE’ UNDERWOOD NON E’ TRUMP

Per James Poniewozik, il critico televisivo del New York Times, più che rispecchiare la realtà, la visione complessiva dello show sembra arrivare da un universo alternativo: “House of Cards è una fantasia di competenza e onnipotenza. Frank tira le leve del potere con la stessa facilità, con cui ha spinto la povera Zoe Barnes sotto un treno della metropolitana. Gioca a scacchi a quattro dimensioni, mentre il suo analogo gioca a Whac-a-Mole (il gioco per bambini che consiste nello schiacciare con un martelletto delle talpe finte che sbucano fuori dai buchi di una scatola, ndr). È freddo e deliberativo, non caldo e impetuoso. Affida i suoi piani a digressioni shakespeariane, mentre il presidente Trump li sciorina su Twitter a 31 milioni di follower”. Melania, questo è certo, con Claire non c’entra nulla. A parte qualche assonanza negli abiti, linee pulite e colori neutri, Claire non avrebbe mai respinto la mano di Frank in pubblico con un gesto stizzito.

HOUSE OF CARDS NELL’AMERICA DI OBAMA

Per alcuni la sesta stagione è lenta, per altri la serie è rimasta uguale, ma non è coinvolgente come prima perchè la realtà è cambiata. House of Cards venne trasmesso per la prima volta nell’America di Obama, quando la macchina delle pubbliche relazioni della Casa Bianca funzionava perfettamente, sfornando ogni giorno immagini perfette, simpatici meme e contenuti politicamente corretti. La presidenza Obama ha attraversato appena un sussurro di scandalo, era divertente invece immaginare un dietro le quinte opposto, che House of Cards rappresentava: una coppia di cattivi assetati di potere alla Casa Bianca. Poi è arrivato Donald Trump, che ogni giorno lancia ai media una succulenta fetta di dramma fumante, sin da quando ha annunciato la propria disponibilità alla candidatura, mentre i suoi avversari e sostenitori intasano internet con la loro guerra di parole infinita. Come poteva mai competere una serie televisiva?

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