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Diciamola tutta: è una vergogna! Lo spettacolo inverecondo, che è stato presentato pubblicamente ieri al Senato, degli uni e dagli altri, farebbe inorridire il mondo intero, se nel mondo intero oggi non ci fosse di peggio a cui pensare: sofferenza, fame e morte. Ahimé molto di peggio, quindi, come ben si sa.

E invece no: si vuol pretendere, in una situazione politica come l’attuale, di alimentare lo scontro frontale per fini politici su un tema delicato, riflessivo e molto complesso come la Ius Soli, pensando di far passare al volo una legge sulla naturalizzazione degli stranieri, giusta o sbagliata che sia.
 
Credo che niente e nessuno possa ritenere, con un briciolo di ragione, che questa cosa abbia un senso logico, oggettivo e ponderato. Sicuramente non ha senso politico. Non avrebbe avuto di sicuro posto nell’agenda della settimana e del mese né di Togliatti e né di De Gasperi. Ma questi sono i nostri tempi, quasi più infelici “dei nostri fiumi” di Ungaretti.
 
Di per sé, d’altronde, la prospettiva di dare cittadinanza italiana a chi nasce nel suolo nazionale non ha nulla di scandaloso, niente di assurdo, intendiamoci. Ma così, in questo modo, e con tanta tracotanza, no… proprio non avrebbe significato neanche si trattasse di abrogare la pena di morte. Non è politica, in effetti, è più avanspettacolo.
 
Andiamo in profondità per capire. Metropoli come Londra e Parigi non sono più le stesse. Sono diventate il debole materiale delle nostre comunità spezzate, oltraggiate da un multiculturalismo adattativo senza spirito di speranza, pragmatico e passivo, e irresponsabilmente non gestito; soprattutto mal digerito dagli abitanti, per necessità di cose, nonché incomprensibile dalle persone comuni, in arrivo e in partenza che siano.
 
Questo è il punto sostanziale. Non è in ballo la generosità tutta italiana e tutta cristiana dell’accoglienza universalizzatrice, che non manca mai e non mancherà mai nello spirito del nostro Paese. Non l’idea di avere civiltà che si allargano e crescono nelle felici contaminazioni tra vecchi e nuovi abitanti: cosa buona e giusta.
 
È il multiculturalismo che non funziona. E nessuno vuole dire perché, ma esso disegna sopra le teste sovrane mappe di conurbazioni individualistiche, emarginate e senza felicità che si troveranno domani ad essere fabbriche di integralismo e revanchismo. Da dove altro viene, d’altronde, l’humus terroristico se non da convivenze non integrate e da accoglienze non gestite?
 
È quella spinta ideologica insana a voler realizzare una concupiscenza irrazionale tra identità sclerotizzate ed emarginate ad ogni costo estenuando le fibre emotive, soprattutto quando i drammi li si vive in casa e nei quartieri, fino al limite di non poter digerire il normale, generando così ineluttabilmente ribellione e populismo estremi.
 
Via, siamo seri! Ripartiamo dalla ragione e della democrazia vera. Perché ora è la sua mancanza a fare il peggio.
 
Muoviamo tutti i passi da una seria presa d’atto che scelte giuste possono diventare scellerate se affrettate, se fatte così davanti alla pubblica opinione che guarda, senza badare alla vera entità della posta in gioco e a quello che accade agli europei in Europa grazie ad una finta accoglienza tutta posticcia, ideologica, politicante, e tutta piena d’ignavia e di interessi spiccioli.
 
Alimentare lo scontro frontale sullo Ius Soli, in un’Italia, tutto sommato, ancora in equilibrio, sebbene precario in se stesso, significa perdere di vista il senso della storia e del futuro, insieme al polso della realtà presente. Lo Ius Soli, a guardar bene, non c’entra affatto in questo caso.  Qui in ballo c’è il perseverare a galleggiare nel nulla e per il nulla di una politica imbarazzante e senza idea di Stato, mentre s’inabissa il sogno occidentale delle società libere di allargare e accogliere l’umanità, plasmando e dando eticamente valori umani, non svendendoli al buon mercato della finta generosità, come ultime cartucce di un micro potere egoistico e ormai poco visibile e comprensibile.
 
Il nemico, a ben vedere, non è lo straniero e lo Ius Soli, ma la superficialità dentro di noi e l’istinto di voler dibattere e voler approvare quasi come uno scalpo di fine legislatura un tema nel quale si decide del futuro nostro e dei nostri figli. È la follia di un Paese in guerra che banchetta dissoluto, danzando macrabamente su se stesso, avendo perso di vista l’unica sua vera ricchezza: la gestione dell’esperienza millenaria e la virtù della prudenza temporanea.

Berlusconi, atlantismo, biotestamento, ippolito, bipolarismo

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