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Potrebbe essere direttamente la Corte Costituzionale a intervenire sulle leggi elettorali di Camera e Senato con l’obiettivo di armonizzarle. A questa soluzione – di cui oggi ha dato conto il quotidiano la Stampa – starebbe lavorando un gruppo di avvocati e giuristi – tra cui l’ex senatore liberale Enzo Palumbo – che si accinge a sollevare una nuova questione di legittimità costituzionale di fronte ai tribunali ordinari italiani. E se i giudici dovessero riconoscerne la fondatezza, la invierebbero alla Consulta che, in questo modo, si ritroverebbe ancora una volta a decidere delle sorti del sistema elettorale italiano, dopo le due sentenze con cui nel 2014 e nel gennaio scorso ha bocciato il Porcellum prima e l’Italicum poi. In questo senso, i fautori dell’iniziativa sono convinti che basterebbe eliminare alcune parole dalla legge del Senato per uniformarla a quella della Camera.

L’INERZIA PARLAMENTARE

Un’extrema ratio la cui costituzionalità non è neppure così sicura, ma che potrebbe comunque verificarsi. D’altronde – come stanno osservando taluni in queste ore – nella pronuncia sull’Italicum la Consulta invitava le forze politiche a fare una nuova legge elettorale per rendere compatibile le regole previste per l’elezione della Camera e del Senato. Parole che per ora il Parlamento ha lasciato cadere completamente nel vuoto, con la concreta possibilità di tornare al voto con sistemi completamente diversi. E, per di più, senza tenere conto dei ripetuti appelli del Capo dello Stato, che in questi mesi ha chiesto numerose volte ai partiti di armonizzare il più possibile le due diverse leggi.

I TEMPI E LE CONSEGUENZE POLITICHE

Secondo la Stampa, questa percorso avrebbe anche una tempistica chiara nella mente di chi ci sta lavorando: “Entro questa settimana deposito della questione di incostituzionalità. Entro il 15 ottobre ordinanza del tribunale che la solleva davanti alla Consulta. Entro il 20 gennaio udienza alla Corte, con possibile sentenza“. Con due fondamentali conseguenze dal punto di vista politico: rendere problematico l’eventuale ritorno alle urne subito dopo l’approvazione della legge di bilancio per il 2018 – di cui si sta parlando nelle ultime settimane – e mettere il Parlamento di fronte al bivio. E obbligarlo a scegliere tra due alternative: riformare di sua iniziativa il sistema elettorale – in tal caso il procedimento di fronte alla Corte sarebbe automaticamente superato dagli eventi – oppure proseguire nella sua inerzia così da farsi dettare per la terza volta in pochi anni la legge elettorale direttamente dai giudici costituzionali.

COSA PREVEDONO LE ATTUALI LEGGI

Il nuovo intervento della Consulta servirebbe, dunque, a rendere uniformi le attuali leggi elettorali di Camera e Senato, al momento assai diverse tra loro. Per citare le principali differenze, a Montecitorio non è previsto che si possa ricorrere alle coalizioni mentre a Palazzo Madama sì. O, ancora, alla Camera c’è un premio di maggioranza a favore della lista che superi il 40% mentre, al Senato, non esiste alcun premio. Per non parlare, infine, delle diverse regole a proposito delle soglie di sbarramento: del 3% alla Camera e differenziate al Senato. Ossia pari al 3% per le liste che fanno parte di una coalizione con più del 20% dei voti oppure all’8% per i partiti che scelgano di andare alle urne da soli.

LE REAZIONI

L’ipotesi ha causato ovviamente una ridda di commenti, soprattutto tra i professori universitari. Assai critico, ad esempio, il professore di Diritto pubblico de La Sapienza, Stefano Ceccanti, che l’ha definito “uno scenario poco serio”, prima prendere espressamente posizione anche su Facebook: “Lasciate perdere i retroscena sui ricorsi alla Corte in materia di legge elettorale: al di là delle perplessità di merito (perché le leggi dovrebbero essere rigidamente armonizzate? Perché si dovrebbero armonizzare allineando il Senato sulla Camera e non viceversa?), appare alquanto improbabile che la Corte faccia sentenze-espresso a camere sciolte. Fa parte, di fatto, di una campagna populista per accusare la politica di non aver fatto la riforma magari chiedendo alla riforma medesima cose diverse o obiettivi impossibili come quello di un governo scelto dagli elettori, prima demonizzato nel momento del referendum e ora richiesto quando non si può ottenere“. Dubbioso ma più possibilista è apparso, invece, l’ordinario di Diritto costituzionale di Roma Tre Alfonso Celotto, per il quale “seppur di ritaglio, non è escluso che la Corte Costituzionale intervenga per rendere omogenee le leggi elettorali di Camera e Senato. Si tratta di una strada complessa ma che potrebbe essere comunque percorsa nonostante i dubbi legittimi che alcuni stanno sollevando“. Da escludere del tutto, invece – secondo Celotto – che il governo possa intervenire con un decreto per armonizzare le due leggi.

legge elettorale

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