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Oggi facciamo un salto nella storia e riviviamo la vicenda di un giovane Lord dell’ammiragliato britannico, di una nuova e giovane risorsa energetica e di una scelta: rivoluzionare la logistica navale. Domani? Non saremo più gli stessi!

“Sotto il sole, sotto il sole di Riccione”, la musica scorre perfettamente negli auricolari dell’Iphone, mentre gli occhi seguono le ultimissime notizie. “È la tecnologia bellezza”, parafrasando “Bubba” Clinton. Oggi grazie ai circuiti miniaturizzati, che hanno ridotto le dimensioni degli strumenti elettronici aumentandone le prestazioni, i nostri smartphone sono in grado di processare velocemente miliardi di dati. Il prossimo passo saranno le “macchine pensanti”, che si comporteranno come il nostro cervello imparando da ciò con cui si confrontano… Fantascienza? Lo sapremo presto. Ma mentre ci si perde a fantasticare un mondo alla Isaac Asimov, la realtà ritorna prepotente con le notizie da Mosul, zona dell’antica Mesopotamia. E costringe a ricominciare a usare la memoria ‘fisica’.

Un giovane Lord dell’ammiragliato britannico… Siamo in Medio Oriente, agli inizi del Novecento, un’area dove si succedono le scoperte di giacimenti petroliferi di grandi dimensioni. Gli appetiti occidentali erano voraci anche allora e si concentravano proprio in Mesopotamia. Già prima della Grande guerra, le varie potenze avevano dato vita a un acceso confronto commerciale per assicurarsi il controllo delle aree dove si poteva estrarre una “giovane risorsa”: il petrolio.

Ecco che il 17 giugno 1914, diventa protagonista quel giovane Lord dell’ammiragliato britannico. Si chiamava Winston Churchill e divenne molto famoso in seguito perché fu il primo ministro del Regno unito durante la Seconda guerra (e anche perché gli assegnarono un Nobel alla letteratura, per la voluminosa storia che scrisse su quel conflitto). Ma prima di ciò, una delle più importanti iniziative del giovane Churchill fu il farsi autorizzare dalla Camera dei Comuni a compiere un’operazione rivoluzionaria: l’acquisizione da parte del governo di Sua Maestà di una quota del 51% degli utili su tutto il petrolio prodotto dalla Anglo-Persian Oil Company, nonché la prima utilizzazione di tutto il petrolio prodotto nei pozzi della compagnia.
Con poco più di 2 milioni di Sterline di allora la Royal Navy si sarebbe assicurata tutto il petrolio necessario per alimentare le navi da guerra senza dipendere da qualche compagnia privata o da un governo straniero. Si possono immaginare i “whipchief” e i “back members” del Parlamento mentre si accapigliavano. Churchill uscì vittorioso da quella sfida,con in mano la garanzia che il ministero della Marina(decisione presa nel 1911) avrebbe potuto autofinanziare una altra decisione strategica della marina di Sua Maestà: il passaggio dal carbone al petrolio come combustibile delle navi, con conseguenze creazione di depositi di petrolio nelle sue coste e in quelle dello sterminato impero britannico.
Il tutto con la prospettiva di realizzare ottimi profitti nei successivi 50 anni e che parte di tali profitti avrebbe coperto i costi di tutte le navi da guerra da costruire dopo il 1914. Poche settimane dopo avrebbe ”fumato” la pistola di Sarajevo, come un colpo di starter per i successivi conflitti e spartizioni…

Forzando l’interpretazione della storia potremmo dire che quel 17 giugno ha avuto l’inizio l’era del petrolio.
La geopolitica è materia interdisciplinare che aiuta interpretare le dinamiche mondiali. Ma spesso non è sufficiente, perché comunque occorrono informazioni. E Churchill, sigaro in bocca, aveva quelle giuste. Nonostante le notevoli riserve di carbone britanniche e l’assenza della giovane ed emergente risorsa, il petrolio, che importava dagli Stati Uniti, il primo Lord dell’Ammiragliato con lungimiranza aveva visitato e studiato le strutture della flotta Reale, capendo l’importanza e l’urgenza di ammodernare le navi, usando l’innovazione scientifica e tecnologica. La nafta le avrebbe rese più autonome, con grande vantaggio per un Impero che doveva garantire la sicurezza di tutti i suoi traffici e dei cruciali approvvigionamenti.
Tornando per un attimo alla contemporaneità del post conferenza di Parigi, nella lotta al cambiamento climatico, della tanto citata decarbonizzazione, quale risorsa energetica “pulita” garantirà di far salpare la “Royal Navy”?
E quando scoccherà l’ora della nuova era energetica? Sembra sempre in ritardo…
Grazie a Formiche.net, in questi mesi abbiamo raccontato, in uno spazio che ho chiamato “house of gas”, i vari passi di una nuova rivoluzione, la corsa all’accaparramento del gas naturale, la fonte più pulita tra gli idrocarburi, che si appresta a diventare il vero motore delle economie mondiali. Presentando una serie di protagonisti, raccontando di gasdotti dai nomi eclatanti, inseguendo le mosse di leader mondiali e di uomini dell’energia.
Siamo andati alla fonte, usando la curiosità come un cannocchiale e puntandola verso la steppa e il permafrost della Siberia per seguire i tubi da est a ovest e viceversa: per non rischiare di non capirci un tubo… E vedere come grazie alle nuove tecniche dello shale gas lo Zio d’America è diventato esportatore netto, con le sue gasiere Stars&Stripes che solcano i mari verso contratti a lungo termine per la fornitura di GNL. Solo le ricche gasiere Australiane non sono state ancora “prese di mira” da House of gas.
Lo scenario energetico è in continua evoluzione per tutti. Prendiamo appunto il LNG, che è cresciuto rapidamente e dalle prime spedizioni del 1964 ha raggiunto oggi il 10% dei consumi mondiali e il 31% del commercio mondiale di gas naturale.
C’è molta esaltazione, ma anche chi invita alla prudenza. E non si tratta di passatisti, ma di realisti. Bisogna ascoltare anche loro, ricordandosi della profezia che l’età del petrolio non finirà con la fine del petrolio. Il vecchio Zaki Yamani ne sapeva a pacchi. Del resto la stessa profezia vale anche per il carbone, che nonostante tutto il tempo passato dalla scelta di Churchill e gli intenti dichiarati da molti Paesi di volersene sbarazzare, continua a essere un protagonista del mondo energetico globale. Prendiamo per esempio l’India, che sta diventando sempre più la ”Factory of the world” e nel 2050 potrebbe superare gli Usa come seconda economia del mondo: dipende per il 57% dal carbone. Insomma, il carbone non è moto e il petrolio sta benissimo.

Visto lo scenario, quale nuova giovane fonte farà salpare la moderna “Royal Navy”? Sarà il GNL, già indiziato numero uno per i trasporti marittimi commerciali vista la sua flessibilità e la sua capacità di abbattere consistenti quote di CO2 rispetto alla nafta? Oppure le centinaia di ricercatori troveranno il giusto mix di carburanti di nuova generazione miscelando diesel, oli ricavati da scarti agricoli, da alghe o da rifiuti e quindi creando biocarburanti che, non interferendo con la catena alimentare, garantiscono prestazioni egregie e l’abbattimento della CO2?

Oppure siamo vivendo in un “Iphone moment”, come ha scritto il “Financial Times”, e come è avvenuto nel mercato della telefonia tutto sta subendo un’accelerazione cosmica? Dove la rivoluzione della tecnologia diventa stile di consumo, con sullo sfondo, a fianco dei potenti leader politici o delle grandi compagnie energetiche, la sagoma di Elon Musk e della sua Tesla, l’auto elettrica che prima ancora è marchio e stile globale?

Si, gli scenari scorrono veloci. Anzi nell’accelerazione mediatica si moltiplicano le ipotesi che vedono il ruolo del gas naturale come il grande compromesso fra le fonti energetiche che salvaguardi gli enormi interessi, soggetto alle convenienze geopolitiche delle grandi potenze, minacciati dalle rinnovabili. Infatti movimenti politici e culturali, utilizzando parole d’ordine come autoproduzione, elettricità a costo zero e così via, prospettano un mondo dove produrre energia possa essere già oggi un’attività “fai da te” come montare un mobile Ikea.

Occorre solo buon senso pratico e scelte verso nuovi equilibri di un mix energetico ambientalmente, economicamente e socialmente sostenibile. E “semplicemente diverso”.

Perché oggi la forza primaria dell’economia è la trasformazione del modo di produrre e dell’efficienza dell’innovazione tecnologica.
Per questo sarà difficile trovare una data per la nuova era energetica. È un processo in corso.
E sempre questo mi fa credere che il caro Winston, storico e letterato oltre che politico, si giocherebbe la sfida della divulgazione della conoscenza. Anche nella forma semplice di un racconto. Perché è importante far sì che parti crescenti dell’opinione pubblica si risveglino dalla lunga ipnosi che le ha portate acriticamente a non credere che il futuro dello sviluppo sostenibile sia l’innovazione tecnologica-scientifica ed ecologica. E a inseguire solo gli slogan.
Da ultimo, nel taccuino di house of gas è appuntato quanto è stato affermato qualche mese fa da Paolo Gentiloni, primo presidente del Consiglio italiano a varcare i cancelli di San Donato per incontrare l’Ad di Eni Claudio Descalzi: «l’Eni è un attore geopolitico per eccellenza, l’unico che abbiamo di questa portata».
Teniamocela stretta, perché l’attività geopolitica dell’energia è anche temuta dai suoi concorrenti e da chi vuole che l’Italia resti solo e sempre un’espressione geografica.
… Intanto fa ancora molto caldo ed è ora di un bagno. Camminando verso il mare vedo in lontananza delle case di ferro e la memoria fisica ripesca il ricordo di quando mio padre mi spiegò che erano piattaforme per estrarre metano. «Sono isole d’acciaio», mi disse. Non mi sembra che abbiamo causato chissà quali danni.

gas

Vi racconto il risiko geopolitico del gas fra storia e cronaca

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