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Se l’Europa applicherà alla lettera gli accordi sulla ricollocazione dei migranti sbarcati sulle coste italiane, l’Italia si terrà centinaia di migliaia di persone molto a lungo con tutti i problemi e le polemiche che questo comporta. La cancelliera tedesca, Angela Merkel, è stata chiara nella conferenza stampa con i premier di Repubblica Ceca e Slovacchia, che non vogliono la loro quota di migranti: “L’Italia è in una situazione molto particolare, vista l’impossibilità per l’Unione europea di arrivare a un accordo politico con la Libia”, ha detto la Merkel ricordando la decisione tedesca di accogliere 500 migranti al mese dall’Italia. “Tuttavia ora il problema è che sulle sue coste arrivano molti profughi che non rispondono al criterio della suddivisione nei vari Paesi europei. Dunque bisogna continuare a parlare con l’Italia, in modo che possa adempiere ai suoi compiti perché l’attraversamento illegale delle frontiere verso la Francia, la Germania e la Svizzera non può essere la soluzione”, ha aggiunto con sottintesa accusa al nostro governo di chiudere qualche volta un occhio. Nelle stesse ore, la portavoce della Commissione Ue per la migrazione, Natasha Bertaud, ha spiegato che la Commissione è pronta a discutere con l’Austria sull’assistenza necessaria per il ricollocamento (Vienna aveva chiesto di essere esclusa) ribadendo però che per l’Ue “è arrivato il momento che gli Stati attuino gli impegni presi”.

Il problema principale, ben noto e al quale si riferiva la Merkel, è che la maggioranza dei migranti non ha diritto di restare e dovrebbe dunque essere rimpatriata. Come esempio possiamo prendere il mese di febbraio 2017, l’ultimo aggiornato sul sito del ministero dell’Interno: su 8.114 pratiche esaminate, ne è stato respinto il 58 per cento. Solo il 10 per cento dei richiedenti aveva diritto all’asilo, cioè allo status di rifugiato, avendo dimostrato “un fondato timore” di subire nel proprio paese una persecuzione ai sensi della Convenzione di Ginevra. Il permesso vale cinque anni. L’8 per cento ha ottenuto la protezione sussidiaria (anch’essa per cinque anni) perché le commissioni territoriali hanno ritenuto che i soggetti rischiassero una condanna a morte, la tortura o che comunque la loro vita fosse minacciata a causa di una guerra nel loro paese. Infine, il 23 per cento ha ottenuto la protezione umanitaria perché ricorrevano seri motivi di carattere, appunto, umanitario. Questo tipo di protezione può variare dai sei mesi ai due anni.

La cancelliera tedesca ha ricordato che la soluzione su cui tutti sono d’accordo è di “lavorare con i Paesi d’origine”, tanto che anche Repubblica Ceca e Slovacchia sono disponibili solo ad aiuti verso quelle terre e non all’accoglienza, ma “la questione non si risolve da un giorno all’altro”. Purtroppo gli inevitabili tempi lunghi della diplomazia mal si conciliano con il nervosismo tangibile in tante aree della penisola e l’avvicinarsi delle amministrative costringe i politici a rassicurare i propri elettori. L’ultimo caso è quello della presidente del Friuli Venezia Giulia, Debora Serracchiani: pur ricordando che chi arriva cerca migliori condizioni di vita, “non c’è spazio per tutti, ma c’è la necessità che chi arriva abbia un’accoglienza dignitosa, il che significa che va prima di tutto rispettato l’ordine pubblico e le regole del Paese che ti accoglie”.

L’ultima mossa per tentare di arginare il flusso ininterrotto di partenze dalla Libia è stato l’accordo fra le tribù libiche riunite dal ministro Marco Minniti venerdì 31 marzo al Viminale. Un accordo che, sulla carta, forse è più importante di quello stipulato con il premier del governo di Tripoli, Fayez al Serraj, per lo storico ruolo delle circa 60 tribù che sarebbero decisive nel controllo dei confini meridionali e nel contrasto al traffico di esseri umani. Il direttore generale di Medici senza frontiere, Arjan Hehenkamp, ha spiegato che il 40 per cento dei migranti salvati ha detto di essere stato costretto a salire sui barconi appena racimolato il denaro per scappare dai durissimi centri di detenzione. Secondo Msf, dunque, i miliziani che controllano quei centri anziché rimettere in libertà le persone rinchiuse le costringono a partire perché “valgono denaro”. Un’altra cifra impressionante sul traffico è arrivata invece da Kevin Hyland, membro della Commissione indipendente britannica antischiavitù: dinanzi al Consiglio di sicurezza dell’Onu ha spiegato che tra il 2014 e il 2016 il traffico di esseri umani dalla Nigeria ha aumentato di otto volte il numero delle donne rese schiave e che solo l’anno scorso circa 8 mila delle 11 mila donne nigeriane sbarcate in Sicilia sono finite nello sfruttamento della prostituzione.

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