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Guai in arrivo in casa Samsung. Il colosso sudcoreano dell’high tech rischia di vedere rinchiuso in carcere per 12 anni il n.1 dell’azienda, Lee Jae-yong (nella foto), in manette dallo scorso febbraio con l’accusa di corruzione. Tale è la condanna chiesta dai pm sudcoreani lunedì scorso, davanti agli occhi grondanti lacrime di Jae-yong. Dieci anni di condanna richiesti per altri quattro alti esecutivi della Samsung, che hanno subito rassegnato le loro dimissioni. Lo scandalo, seguito senza sosta dai media sudcoreani, è legato a doppio filo al processo che ha portato in marzo all’impeachment, votato nel dicembre 2016 dall’Assemblea Nazionale, dell’ex presidente della Corea del Sud Park Geun-hye, rimossa dal suo incarico dalla Corte Costituzionale.

La sentenza definitiva arriverà il 25 agosto, due giorni prima della scadenza del periodo di detenzione cautelare previsto per Jae-yong. I pm, che definiscono il caso giudiziario che unisce Jae-yong e l’ex presidente Park Geun-hye “il processo del secolo”, lo accusano di aver finanziato con 37 milioni di dollari due fondazioni presiedute dalla migliore amica dell’ex presidente, Choi Soon-sil. In cambio avrebbe ottenuto dal governo nel 2015 l’approvazione per la fusione da 8 miliardi di dollari di due compagnie associate alla Samsung, la Cheil Industries e la Samsung C&T. Una volta ricevuto il necessario permesso dal fondo nazionale delle pensioni, Jae-yong, proprietario della Cheil Industries, avrebbe avuto strada libera per conquistare la cima della Samsung Electronics.

Tra gli altri capi di accusa, quello di aver corrotto Choi, la fidatissima dell’ex presidente, pagando alla figlia milioni di dollari per un corso di equitazione pluriennale in Germania e 900.000 dollari per l’acquisto del cavallo. In un’audizione parlamentare di dicembre Lee ha ammesso il pagamento del cavallo a carico della Samsung ma ha negato l’esistenza di un sistema di corruzione sorretto dal governo.

Mercoledì 2 agosto, nella penultima audizione con i pm, Lee ha detto di non sapere che la famiglia di Choi avesse una passione per l’equitazione, e di aver parlato con l’ex presidente solo brevemente. In effetti dal 2014 al 2016 sono solo tre gli incontri certificati tra il giovane patron della Samsung e Park Geun-hye. I pm indagano in particolare su un incontro del settembre 2014, durato solo 5 minuti, dove, stando alla difesa di Lee, i due non avrebbero mai parlato di un’eventuale scalata al potere all’interno dell’azienda.

Conosciuto in occidente come Jay Y Lee, 48 anni e un patrimonio netto di 5.8 miliardi di dollari, Lee Jae-yong rappresenta la terza generazione di una famiglia che controlla la Samsung Electronics dalla sua fondazione. Suo nonno Lee Byung-chul lanciò l’azienda nel 1938, e suo padre Lee Kuhn-hee, ritenuto l’artefice del successo globale della Samsung, è ancora oggi a capo di Samsung Group, il primo conglomerato industriale della Corea del Sud, responsabile da solo di un quinto dell’export del paese. Jae-yong è vice-direttore della Samsung Electronics dal 2013, ma è considerato di fatto il n. 1 dell’azienda dal 2014, quando il padre si è dovuto fare da parte in seguito a un attacco di cuore.

La Samsung è un esempio cristallino di “chaebol”, che nella lingua locale sta per “ricco clan”. Con questo nome sono indicati i numerosi conglomerati presenti nel paese in cui vige da decenni una conduzione familiare ed ereditaria: è il caso ad esempio di altri giganti sudcoreani come LG, Hyundai, SK Group, Lotte. Una realtà che il nuovo presidente sudcoreano, Moon Jae-in, ha promesso di regolamentare severamente.

L’anno 2016-2017 non è stato un periodo facile per la Samsung Electronics. Nel 2016 l’attesissimo lancio del nuovo Galaxy Note 7, in cui lo stesso Jae-yong ha avuto un ruolo di primo piano, si è trasformato in un incubo: i cellulari hanno iniziato a prendere fuoco per un difetto di produzione e sono stati banditi da tutti gli aeroporti, costringendo la ditta a ritirarli dal commercio, un’operazione costata 5,3 miliardi di dollari.

Una débâcle che, contro ogni pronostico, non ha danneggiato nel breve periodo i profitti dell’azienda, complice forse una tempestiva strategia di marketing del “mea culpa” che è riuscita a riguadagnare la fiducia dei consumatori. Il successivo lancio del nuovo smart-phone, il Galaxy S8, si è infatti rivelato un successo. Quando sono scattate le manette a febbraio per Jae-yong, il colosso sudcoreano ha temuto di subire un nuovo pesante danno alla reputazione. Timori smentiti dai risultati ottenuti nel periodo tra aprile e giugno, in cui la Samsung Electronics ha registrato un profitto netto di 9,9 miliardi di dollari, superando perfino il concorrente n. 1 nella Silicon Valley, la Apple di Tim Cook.

Tutti gli ultimi guai per Samsung

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