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(Articolo ripreso da www.graffidamato.com)

Questa volta, dunque, il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni non ce l’ha fatta a tenere sotto controllo il suo governo, per quanto l’articolo 95 della Costituzione glielo imponga conferendogliene la “responsabilità”. Egli “mantiene – dice quell’articolo – l’unità di indirizzo politico e amministrativo, promuovendo e coordinando l’attività dei ministri”.

Deve avere pensato proprio a queste parole il ministro dell’Interno Marco Minniti quando, al telefono, si è doluto con Gentiloni dei problemi procuratigli, fra gli altri, dal ministro delle infrastrutture – ex lavori pubblici, trasporti e marina mercantile insieme – Graziano Delrio, peraltro collega di partito e di corrente, essendo entrambi renziani, pur provenendo da direzioni diverse: Minniti dal Pci, e dalla corrente di Massimo D’Alema in particolare, Delrio dalla Margherita, per non dire Dc.

Probabilmente il ministro delle infrastrutture, nello scontro neppure sotterraneo avuto col titolare del Viminale, deve avere perso la testa con quella concentrazione di competenze derivata dall’unificazione, già accennata, dei lavori pubblici, dei trasporti e della marina mercantile, sino a pensare che i porti italiani siano praticamente roba sua. Dove è lui a stabilire chi può accedervi e chi no, e persino con quali regole, se accettando o rifiutando – nel caso delle navi di soccorso ai migranti gestite dalle cosiddette organizzazioni non governative delle più diverse bandiere – la presenza di agenti della polizia giudiziaria italiana. Che sono armati non solo e non tanto di pistole quanto di occhi per vedere dove finisce l’attività di soccorso e comincia invece la collusione di fatto, voluta o non voluta, con quelli che ci siamo abituati a chiamare scafisti. E sono invece criminali trafficanti di carne umana, decisi a guadagnare sempre di più e a rischiare sempre di meno, usando per il trasporto dei poveri cristi finiti nelle loro mani carrette che pretendono di riportare indietro sulle coste libiche per ricaricarle a dovere, riportarle al largo, sia fa per dire, e trasferirli sui mezzi sicuri dei cosiddetti volontari.

Nella sua onnipotenza ministeriale, ripeto, di titolare insieme dei lavori pubblici, dei trasporti e della marina mercantile, con annesse capitanerie di porto e guardie costiere, e in più con la sua sensibilità religiosa, allineato a Papa Francesco, così largo di vedute in materia di accoglienza, Delrio si è dimenticato che in Italia, dove le coste sono più lunghe dei confini terrestri, i porti sono anche posti di frontiera. Dove, volente o nolente il ministro delle infrastrutture, ha il diritto e il dovere di farsi vedere e sentire anche, se non soprattutto, il ministro dell’Interno.

Presumo che nella conversazione telefonica col presidente del Consiglio il ministro Minniti non sia rimasto molto convinto delle parole e dei concetti del suo interlocutore se poi non ha ritenuto di partecipare alla riunione del governo indetta per discutere della gestione dell’immigrazione. Debbo anche presumere che avessero fondamento le voci che lo davano per dimissionario, o quasi, se poi il presidente della Repubblica ha dovuto assumere l’iniziativa “irrituale” – come l’ha definita il quirinalista principe del giornalismo italiano, che è Marzio Breda, del Corriere della Sera – di una nota di “grande apprezzamento” per Minniti. E anche di richiamo alle organizzazioni non governative che continuano a considerare le loro navi di soccorso abilitate anche a concorrere, di fatto, al traffico clandestino di immigrati. Gentiloni, bontà sua, si è adeguato o associato.

È auspicabile che il Papa una volta tanto si trattenga da prediche e moniti, ricordandosi che, oltre ad essere il presidente della Repubblica italiana, Sergio Mattarella è un fedele, anzi fedelissimo, di Santa Romana Chiesa, anche se ha meno figli di Delrio.

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