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Il Governo ha solo parzialmente smentito che si stia realizzando una ulteriore parziale privatizzazione della Cassa Depositi e Prestiti affermando, per bocca del premier, che i progetti prima bisogna redigerli e poi annunciarli. Se ne può inferire, dunque, che uno studio sarebbe in corso anche se, eventualmente, aperto a opzioni diverse. L’ipotesi di cui si parla riguarderebbe una dismissione del 15% o poco più della Cdp con l’obiettivo di fare scendere la partecipazione pubblica, ma fermandosi a una maggioranza intorno 65% in mano al Tesoro. Un’operazione della specie rientrerebbe nel contesto di un piano per la riduzione del debito sovrano, di cui però non si sa nulla, mentre appare piuttosto chiaro come si proceda con progetti slegati, a pezzi e bocconi, per una tale riduzione, dunque senza un progetto organico, magari di non breve attuazione, ma netto nella sequenzialità degli interventi e nei tempi di realizzazione.

Vi sarebbe, poi, secondo alcuni, anche un’ipotesi inversa con la Cdp che compra una ulteriore quota di Poste, ma non si capisce se questo sarebbe un passaggio intermedio per poi collocare le azioni della Cassa oppure obbedirebbe a un’altra ignota finalità. L’argomento, in ogni caso, pone, ancora una volta, al centro di discussioni la Cdp che ora è considerata dalla legge un intermediario finanziario non bancario in base all’art.107 del Testo unico regolatore e che la parziale privatizzazione vorrebbe trasformare di fatto in una banca di sviluppo. Non si sa, tuttavia, cosa pensino di una tale operazione le Fondazioni di origine bancarie partecipanti alla Cassa con circa il 15%, per ora unico soggetto privato che abbia una interessenza nell’Istituto.

Assunta dopo la netta sconfitta del secondo governo Berlusconi che, con una normativa seccamente poi bocciata dalla Consulta, avrebbe voluto annullare, su progetto del Ministro Tremonti, l’autonomia delle Fondazioni, la partecipazione di queste ultime è stata decisiva per convalidare l’estraneità dell’Istituto al perimetro del debito pubblico. Tra le stesse Fondazioni e la Cdp è stata realizzata una serie di programmi di interesse pubblico e sociale, quale il social housing, che rappresentano una significativa innovazione. L’attuale ordinamento attribuisce alla Cassa la ricordata qualifica che, però, confligge, di fatto, con l’effettiva realtà che la rappresenta come una vera e propria banca. Se si compissero ulteriori passi formali in questa direzione, con l’ipotesi adombrata, allora dovrebbe risultare inevitabile l’assunzione di una veste giuridica per la tutela della concorrenza e per il rispetto delle regole del mercato interno. Andrebbero, altresì, considerati, prima di imbarcarsi in una tale operazione, i rapporti con Poste e l’amministrazione del risparmio postale.

Al di là dell’accennata esigenza di disporre di un piano che ora non esiste per il debito pubblico e delle decisioni, fondamentali, che assumeranno le Fondazioni, se l’ipotesi ventilata si tradurrà in un progetto compiuto, manca, in queste prime notizie, l’indicazione di quale dovrà essere il futuro della Cdp, non potendosi agire sull’assetto proprietario solo per fare cassa o, comunque, per ridurre il debito. Questo passa anche, come ha detto ieri Ignazio Visco, per un necessario aumento del potenziale di crescita dell’economia. Ma, nel caso della Cdp, occorrerà precisare le funzioni che, per l’avvenire, ci si attendono e come l’istituto possa concorrere, nel rispetto dell’imprenditorialità, agli interessi generali.

(Pubblicato su MF/Milano Finanza, quotidiano diretto da Pierluigi Magnaschi)

Banco Popular

Perché serve chiarezza sulla privatizzazione di Cassa depositi e prestiti

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