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I temi della prossima campagna elettorale sono ormai quasi tutti delineati, ossia già quasi tutti presenti nello spazio pubblico. Certamente si dibatterà sulla politica internazionale, sull’Europa, ma, prima di tutto il resto, sulla vexata quaestio dell’immigrazione.

Come si sa, l’avvicinarsi delle elezioni porta sempre un ricollocamento dei partiti nelle proprie aree elettorali, ma soprattutto determina una supremazia dei temi divisivi e decisivi su quelli neutri e irrilevanti. Perciò si litigherà e si deciderà cosa votare in riferimento alle posizioni che si avranno in materia di stranieri, cittadinanza e ruolo della comunità nazionale nel mondo.

Se il presidente Sergio Mattarella ha dichiarato che bisogna fermare i trafficanti, il ministro Marco Minniti, nel question time alla Camera, ha gettato acqua sul fuoco, escludendo che siamo davanti ad uno stato di emergenza.
In questa linea assume grande valore il programma “sbarchi zero” pubblicato dal M5S sul blog, a firma di Laura Ferrara. Trattandosi di un partito apparentemente fuori dalle parti, che gode all’incirca di un terzo dell’elettorato potenziale, è logico dar rilievo alla proposta, indispensabile tra l’altro per comprendere non dico le alleanze possibili, ma almeno quelle effettive che i grillini assumeranno in Parlamento nella prossima Legislatura.

I punti dello scritto sono sostanzialmente tre: revisione del trattato di Dublino, asilo ai migranti, ma con rimpatri tempestivi, e controllo sui fondi destinati.

Sicuramente tali segnali confermano una linea che mira a smarcare il M5S dalla politica del governo e ad avvicinare, di conseguenza, le sue posizioni a quelle della Lega e della destra. Ciò però non dice granché in più, dato che siamo abituati in Italia a contrapposizioni molto più forti tra simili competitori piuttosto che tra distinti oppositori. Comunque, dal punto di vista elettorale, questo fatto non può essere trascurato, non foss’altro perché denuncia un malcontento degli italiani verso le politiche di accoglienza che evidentemente sono intercettate adesso dai grillini.

Conviene allora concentrarsi sulla concreta percorribilità futura di un’eventuale soluzione politica di discontinuità verso l’attuale disponibilità italiana all’accoglienza, con tanta forza declamata nel documento on line.

Sicuramente non è impossibile mutare qualcosa in materia di immigrazione. Non a caso già l’azione del governo ha recentemente mutato registro, seppur senza grande riscontri, nei riguardi di una pratica europea dominata più dagli egoismi nazionali che dalla condivisione solidale dell’Unione con i problemi del nostro Paese.

Quello che risulta valido nel programma pentastellato, tutto sommato, coincide con la convinzione, espressa da tutto il centrodestra, dell’opportunità di una restrizione delle accoglienze e soprattutto di una maggiore autonomia dell’Italia da Bruxelles. Lo strumento, tuttavia, non può essere soltanto di tipo verbale ma richiede un ripensamento del ruolo dello Stato nel gestire Europa, società e territorio. Di qui la difficoltà intrinseca di tale piano di lavoro ad avere concretezza.

Mi è tornato in mente istintivamente Giuseppe Dossetti, il quale sosteneva una tesi che, a mio avviso, potrebbe essere apprezzabile. Egli si domandava quali fossero i compiti giusti e reali dello Stato democratico. La risposta che diede, in una famosa conferenza tenuta a Roma il 12 novembre del 1951 al III Convegno nazionale dei Giuristi Cattolici, è che non è immaginabile una società che si auto organizza, come pensano i liberali, e neanche uno Stato che si risolve nella società, come teorizzano i socialisti. Lo Stato ha il compito di “formare” la società guidandola alla democrazia.

Ciò è sorprendente, davanti ad un’immigrazione che viene diretta unicamente con criteri di assistenza pubblica alla gestione privata, con i tanti interessi economici sommersi, giustamente denunciati dal M5s, che prendono il sopravvento su tutto, generando corruzione e malaffare. Quello di cui ha bisogno l’Italia è invece recuperare esattamente quel senso dello Stato, ritrovando il valore che ha la sfera pubblica non per dominare e schiacciare di burocrazia la vita della gente, ma per organizzare e gestire la società in maniera razionale e regolata al bene comune.

Il multiculturalismo è un errore solo se abbandona cittadini e stranieri a se stessi. Lo Stato invece deve fare la società, non nel senso di crearla (ci mancherebbe altro!), ma nel senso di presiedere la sua costruzione come cittadinanza reale. Solo uno Stato forte sa essere democratico e accogliente, e solo una democrazia forte può estendere la cittadinanza non creando schiavitù, disuguaglianze ed emarginazione.

Per attuare, inoltre, un mutamento delle politiche di immigrazione, rendendo possibile quell’inclusione sociale di cui parla anche Papa Francesco, è indispensabile avere istituzioni nazionali forti che modifichino l’Europa, trasformandola da ostacolo in mezzo indispensabile per garantire ordine, legalità, solidarietà e crescita del bene comune. Altrimenti, se non seguiremo questa strada, di sicuro molto audace, anche i buoni propositi grillini saranno inutili e diventeranno volano della nostra catastrofe e di quella dei popoli migranti che crediamo di accogliere.

Berlusconi, atlantismo, biotestamento, ippolito, bipolarismo

M5S, il programma immigrazione e Dossetti

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