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Per Donald Trump ha votato l’81% degli evangelici. Nel suo gabinetto siedono cristiani e convinti pro life. Ci sono anche dei cattolici nella corte del presbiteriano The Donald che ha nominato il giudice conservatore Neil Gorsuch alla Corte suprema. La maggioranza del Congresso è saldamente in mano ai repubblicani. Il 91% dei membri di Capitol Hill si definisce cristiano. Sembra un momento più che favorevole, dunque, ai conservatori cristiani per influenzare la politica americana. Ma è davvero così? Due libri freschi di stampa stanno innescando negli States un dibattito meno scontato dalle apparenze della cronaca sul compito dei cristiani in una società definita secolarizzata, individualista e consumista, dove la cultural war sulla famiglia tradizionale è dichiarata persa (un esempio: il matrimonio omosessuale è legge costituzionale). Per tacere delle sfide aperte su obiezione di coscienza e garanzie per la libertà religiosa. Autori dei volumi, l’influente arcivescovo di Philadelphia, Charles Chaput, e una voce autorevole della destra social conservative, il giornalista Rod Dreher. Entrambi, con sfumature diverse, ammettono: la politica non basta a garantire le condizioni per vivere liberamente il cristianesimo.

ROD DREHER, UN CRISTIANO CONSERVATORE DUBBIOSO SU TRUMP

Dreher è nato metodista. Convertito al cattolicesimo, ne esce per lo choc quando comincia ad occuparsi come cronista dello scandalo dei preti pedofili. Quindi è approdato alla chiesa ortodossa del Patriarcato di Mosca. Oggi scrive per The American Conservative. Da dieci anni insiste per la cosiddetta Opzione Benedetto, adesso articolata nel libro The Benedict Option: A Strategy for Christians in a Post-Christian Nation. “Non lasciatevi ingannare – scrive – la vittoria di Trump nella migliore delle ipotesi ci ha dato solo un po’ più tempo per prepararci all’inevitabile”. L’analisi è cupa. I cristiani sono e saranno sempre più minoranza tacciata di razzismo per le loro prese di posizione sui temi etici. Subiranno insulti. Sempre più esclusi dalla piazza pubblica, a meno di non rinunciare alla propria identità. Una sorta di persecuzione che non porta al martirio, ma in cui “dobbiamo essere disposti a soffrire il rifiuto sociale, la perdita di posti di lavoro e di opportunità”. “L’idea che una persona volgare e moralmente compromessa come Trump possa essere un aiuto per il restauro della morale cristiana e di unità sociale è delirante”, scrive il conservatore Dreher.

L’OPZIONE BENEDETTO

Ecco che entra in gioco l’Opzione Benedetto, dall’esempio del fondatore del monachesimo occidentale. Come nel VI secolo il monaco di Norcia si è rimesso a fare il cristianesimo in un mondo dove l’Impero romano era crollato e i barbari scorrazzavano per l’Europa. Dreher non propone un ritiro in monastero. Né tanto meno il rifiuto dell’impegno politico sulla libertà religiosa e l’agenda pro life. Quanto una regola di vita dettagliata che porti a vivere la fede in modo più condiviso, a iscrivere i figli in scuole cristiane e non nelle secolarizzate scuole pubbliche, a dedicare più tempo alla famiglia e alla preghiera. Solo quando una forma completa di vita cristiana sarà recuperata si può essere equipaggiati per iniziare il compito di tentare a riconquistare la cultura del paese, dominata dalle élite liberal e nichiliste. Per Dreher l’alt-right di Trump non è interessata a rovesciare il paradigma più o meno consapevolmente adottato dalla maggioranza degli americani: “È una destra post-religiosa che non può stare dalla parte dei cristiani per la sua retorica razzista”. I cristiani – propone – dovrebbero concentrare i loro sforzi non solo sulla chiesa locale, ma in una comunità di lavoro con le differenti confessioni (cattolici, evangelici, ortodossi), e con altri che non sono cristiani, per costruire la comunità: “Abbiamo molto da imparare dai nostri fratelli ebrei che hanno vissuto come minoranze in una cultura ostile per lungo tempo”.

FALLIMENTO DELLA CULTURAL WAR?

Dreher riconosce che “la guerra culturale come lo conoscevamo è finita”. Hanno vinto i liberal. Non ha più senso dedicarsi a “gesti senza senso e inutilmente infiammatori”. Mancano le truppe. Scrive: “Non possiamo più contare su politici e attivisti”. Pensare che la vittoria repubblicana possa garantire i valori dei conservatori è pia illusione. Per questo richiama a una sorta di ritirata strategica per “costruire istituzioni cristiane” per superare “l’occupazione”.

CHAPUT: STRANIERI IN TERRA STRANIERA

In Strangers in a Strange Land: Living the Catholic Faith in a Post-Christian World l’arcivescovo Charles J. Chaput è meno pessimista di Dreher: “Il mondo non è mai veramente post-cristiano. Cristo non è mai assente. Ma nel mondo occidentale la fede e la morale cristiana non sono più il motore”. Chaput è preoccupato per la mancanza di attrazione del cristianesimo tra i millennials (i giovani-adulti nati tra il 1981 e il 1996). Secondo un sondaggio del Pew Research Center solo il 27% di loro frequenta regolarmente una funzione religiosa. Chaput ammette che i cristiani possano trovarsi a vivere come “una minoranza consapevole in una nazione le cui convinzioni, la cultura, e la politica non sono più loro”. Cioè, appunto, come “stranieri in terra straniera”. Eppure con una possibilità di riuscita a breve termine. Come i primi cristiani: “Loro non avevano abbandonato il mondo. Hanno preso elementi della cultura circostante e li hanno ‘battezzati’ con un nuovo spirito e un nuovo modo di vivere”. Ma, come Dreher, anche l’arcivescovo concede la possibilità di un temporaneo “ritiro per fortificarsi”. Indica il modello parrocchiale, della piccola comunità, come sostegno a vivere la fede non in maniera astratta, ma legata alla vita reale.

MODELLO HAVEL

Come Dreher, Chaput ricorda l’esempio di Vaclav Havel, e la sua dissidenza contro l’ideologia che faceva sì che la gente potesse vivere “dentro una menzogna”. Quella del regime comunista in Cecoslovacchia. Oggi, per i due autori, la menzogna è quella che ha spazzato il discorso cristiano ai margini dello spazio pubblico. Democratici o repubblicani al governo, poco cambia. Diceva l’arcivescovo di Philadelphia prima delle presidenziali 2016: sia Hillary Clinton che Donald Trump sono una pessima notizia per il Paese. Una ha idee stantie, l’altro è un demagogo. Chiosa oggi Dreher: i cristiani conservatori devono avere presente che Trump non condivide le nostre istanze. “Sarebbe stato più duro con la Clinton, ma almeno con lei sarebbe stato più facile capirlo”.

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