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A un mese circa dal caloroso incontro alla Casa Bianca tra Trump e il premier israeliano Netanyahu, il presidente Usa ha parlato al telefono col presidente dell’Autorità nazionale palestinese Abu Mazen. Una conversazione durata 20 minuti che ha risollevato le speranze di un “deal” sulla contesa territoriale più longeva della storia recente. La telefonata è culminata con l’invito a Washington per Abbas, che non ha nascosto il proprio entusiasmo. Sembra decollare dunque l’iniziativa dell’amministrazione Trump, intenzionata a smuovere le acque e a sigillare uno storico accordo tra le parti riottose.

Il processo di pace si era bruscamente interrotto nel 2014, anche per l’evidente irritazione di Obama per la linea inflessibile di Gerusalemme. Obama non nascondeva la propria antipatia nei confronti di Netanyahu, portando le relazioni tra i due paesi al minimo storico. L’avvento di Trump sembrava in principio destinato a mettere la pietra tombale sulla prospettiva dei “due Stati per due popoli”, la linea storica di Washington e l’unica prospettiva considerata accettabile da una comunità internazionale che non perde mai l’occasione di attaccare Israele e di coccolare i palestinesi. In campagna elettorale The Donald aveva annunciato che, se eletto, avrebbe trasferito da Tel Aviv a Gerusalemme l’ambasciata Usa, una mossa ritenuta pericolosamente provocatoria.

Per ricoprire l’incarico di proprio rappresentante diplomatico in Israele, Trump ha inoltre scelto un avvocato favorevole alla politica degli insediamenti ebraici nella West Bank, altra benzina nel fuoco. Infine, Trump ha indicato nel genero Jared Kushner, suo consigliere alla Casa Bianca, come colui che avrebbe gestito il dossier della Terra Santa: Kushner è ebreo. Tutti questi segnali hanno suscitato allarme, così come l’abbraccio tra Netanyahu e Trump di febbraio e le clamorose dichiarazioni del neo-presidente secondo cui la soluzione dei due Stati poteva anche essere abbandonata ove israeliani e palestinesi decidessero altrimenti: “Due stati, uno stato, quel che va bene alle parti per me è ok”, fu la bomba esplosa dall’ugola incendiaria del magnate newyorchese.

L’impressione di un netto sbilanciamento di Trump verso Israele fu però presto smentita da una dichiarazione ufficiale che esortava Israele a non perseverare con i controversi insediamenti, perché passibili di complicare il processo di pace. Trump lo disse direttamente, anche se cortesemente, a Netanyahu nella conferenza stampa a margine dell’incontro a Pennsylvania Avenue. Mentre Trump discuteva con Netanyahu, il capo della Cia Mike Pompeo incontrava Abu Mazen a Ramallah, in un evidente tentativo di rassicurazione.

Ora arriva il primo colloquio diretto tra il presidente degli Stati Uniti e il suo collega palestinese, un altro segnale in controtendenza che evidenzia l’approccio più equilibrato della Casa Bianca. Saranno i prossimi mesi a rivelare se l’agognata pace sarà raggiunta con il sostegno di un presidente amico di Israele ma non per questo ostinato a chiudere gli occhi di fronte alle responsabilità della storia.

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