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Qualcuno l’ha già ribattezzata la guerra delle spiagge. Una definizione di colore, ma forse non troppo lontana dalla realtà, vista la crescente tensione tra gli imprenditori del mare e il governo. I primi contestano all’esecutivo l’applicazione forzosa della direttiva Bolkestein (qui l’approfondimento di Formiche.net sulla diatriba) e ora l’intenzione di istituire un apposito registro delle concessioni balneari, con l’obiettivo velato ma non troppo di alzarne il canone. Il secondo rimprovera alle imprese balneari una scarsa inclinazione alle regole globali della concorrenza, innescando suo malgrado uno scontro anche a livello parlamentare. Prima però, bisogna fare un passo indietro, fino alla genesi dello scontro.

COSÌ È ESPLOSA LA BOMBA BOLKESTEIN

Nei giorni scorsi la temperatura ha iniziato a salire vertiginosamente, dopo che il governo ha approvato a fine gennaio, il Ddl delega (qui il testo) che recepisce la direttiva europea che obbliga gli Stati membri a mettere a gara le concessioni demaniali (terme, ambulanti, mercati e spiagge). In particolare il Ddl prevede espressamente “procedure selettive che assicurino imparzialità, trasparenza e pubblicità e che tengano conto della professionalità acquisita nell’esercizio di concessioni di beni demaniali marittimi, nonché lacuali e fluviali, per finalità turistico-ricreative”. Ed è proprio questo che non è andato giù agli imprenditori delle spiagge, tradizionalmente abituati a tramandare le concessioni di generazione in generazione, senza l’ingresso di operatori terzi a mezzo gara.

IL SILURO DI CALENDA

Dopo il durissimo scontro tra associazioni ed esecutivo, due giorni fa il ministro dello Sviluppo Economico Carlo Calenda ha acceso un’altra miccia. “La prima cosa che farò come governo è chiedere che ci sia un registro per la trasparenza delle concessioni balneari”. L’obiettivo del ministro, intervenuto in occasione della presentazione del codice della concorrenza all’Antitrust, è fin troppo chiaro: capire quanto le singole concessioni paghino allo Stato. E per farlo è pronto a un blitz sul ddl concorrenza. “Ci sono 25.000 concessioni che pagano complessivamente 104 milioni di euro. Facendo una semplice divisione, il risultato è meno di quanto paga un ambulante per un banchetto 5×3. Cosa c’è di equo in questo?”. Dunque, anche se non detto in modo chiaro, nelle logiche del governo c’è una revisione al rialzo dei canoni demaniali delle spiagge, da rifilare con un ritocco al ddl concorrenza, che dovrebbe essere (finalmente) approvato in via definitiva ad aprile. “Vogliamo che il consumatore che va a pagare magari 100 euro per l’ombrellone e gli altri servizi di uno stabilimento, sappia qual è il valore della concessione e la sua durata”, ha rincarato il ministro. Non mancando di affondare ancora i denti sulla Bolkestein: “qualcuno mi deve spiegare cosa c’è di equo nel non mettere a gara e non permettere a un ragazzo di mettere su uno stabilimento”.

LA REAZIONE DELLE IMPRESE

Ovviamente la reazione dei balneari non si è fatta attendere. Già la questione Bolkestein aveva esasperato gli animi. E ora con la bordata sui canoni, piove sul bagnato. “Calenda parla senza conoscere la realtà”, ha tuonato Riccardo Borgo, a capo del sindacato balneari (Confcommercio). “Spero che il ministro sia a conoscenza che il canone è quanto lo Stato ci chiede e che deriva da una legge, oltre ad essere al corrente che, sempre il canone, costituisce solo una voce tra i costi sostenuti dai balneari (Iva al 22%, doppia di ogni altra impresa turistica italiana, imposte regionali che, in qualche caso, arrivano al raddoppio degli importi, solo per fare qualche esempio)”. Sulla stessa lunghezza d’onda anche Fabrizio Licordari, presidente di Assobalneari (Federturismo-Confindustria). “Il ministro ci vuole mandare dritti alle evidenze pubbliche, dimostrando anche di non avere la più pallida idea di che cosa significa pagare il canone legato a una concessione, se lo paragona alla redditività che questa produce”.

LO SCONTRO IN PARLAMENTO

Lo scontro in atto si è poi propagato anche in Parlamento, a Montecitorio per la precisione. Sergio Pizzolante, vicepresidente del gruppo Area Popolare, ha punzecchiato Calenda, ricordandogli come “il veicolo per la revisione dei canoni per le concessioni demaniali è la legge delega preparata dal ministro Enrico Costa (per gli Affari regionali, ndr) con il concerto anche del Mise e approvata dal Consiglio dei ministri a fine gennaio. La legge è già arrivata in Parlamento, in commissione Finanze. Quindi il ddl concorrenza non può occuparsi di una materia così complicata e articolata che ha richiesto la condivisione di sette ministeri”. Pronta la risposta dei Civici e Innovatori. “Area popolare si è subito opposta, sostenendo che il riordino dei canoni di concessione deve essere attuato attraverso il disegno di legge Costa già assegnato alla commissione Finanze della Camera. Ma qui non stiamo parlando di riordino delle concessioni. Il ministro, infatti, ha parlato solo di trasparenza dei canoni, tema sul quale nulla dice il ddl Costa. Non si capisce questa sorta di allergia di Ap a concorrenza e trasparenza ogni volta che si parla di spiagge”. Inoltre “i canoni di concessione pagati allo Stato ammontano a circa 100 milioni l’anno per 25.000 concessioni rilasciate, per una media di 4mila euro a concessione, in un comparto che secondo molti studi genera miliardi di fatturato”.

LE PROSSIME TAPPE

Adesso la palla passa proprio a Calenda. Il 14 marzo è infatti previsto un delicatissimo confronto sulle questioni Bolkestein e canone al dicastero di Via Veneto, tra il responsabile dello Sviluppo e le principali associazioni (ma non Assobalneari, pare). Solo allora si capirà se c’è spazio di manovra sufficiente per scongiurare il blitz di Calenda nel ddl concorrenza.

Carlo Calenda

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