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Per la Turchia è stata una lunga giornata e una notte interminabile. Un voto sul referendum più importante nella storia del Paese che è arrivato dopo un anno con 13 attentati, un golpe militare e una caccia alle streghe successiva nell’ordine delle migliaia di persone. La campagna elettorale più brutta di sempre, direttamente proporzionale all’importanza della posta in gioco, il passaggio da una forma di governo parlamentare a una presidenziale. Una giornata elettorale con due morti costellata da incidenti, scandali, denunce dai seggi elettorali. Una vittoria al foto finish per un leader che già da tempo era considerato un autocrate e che adesso è il padrone assoluto del Paese. Il dubbio che non sarà mai sciolto sul voto, ma che solleva tante, tante perplessità. Un Paese ufficialmente spaccato in due, dove da una parte ci sono i ‘buoni’, quelli che hanno votato Erdogan e dall’altra i cattivi, che per il presidente sostengono i terroristi e dove il primo provvedimento del nuovo corso potrebbe essere la reintroduzione della pena di morte. Questa, in estrema sintesi, la situazione attuale.

Nel massimo rispetto per le tribolazioni dei turchi, sulle quali avremo modo di tornare, vorrei condurre l’attenzione su altro. Qualcuno, alle latitudini di Bruxelles o di Roma, dovrebbe prendere nota di due cose. La prima è che Erdogan, stando ai risultati ufficiali, è stato votato da 25 milioni di persone e non lo hanno votato per paura o per costrizione, ma in molti casi per convinzione. E la motivazione non è stata la difesa dal terrorismo, ma la promessa fatta dal Presidente della Repubblica, di rendere la Turchia ancora più potente. Un neonazionalismo che Erdogan ha creato ad arte, mischiando componente etnica, consapevolezza religiosa e una nostalgia per un passato romanzato. C’è un 48% che ha votato contro, ma di questo 48% non tutti sono genuini democratici e convinti filo europei, anzi. Ma soprattutto, quei 25 milioni sono il frutto del cambiamento negli orientamenti della società che Erdogan è riuscito ad attuare, con buona pace di chi si accontenta delle immagini di superficie, tipo ristoranti che servono ancora alcolici (sempre meno) o chiese piene la notte di Pasqua.

Il secondo punto è che questa Turchia è pericolosa non solo per se stessa, ma anche per l’Europa. All’estero la riforma di Erdogan ha raccolto il 59,4% dei consensi. A votarlo, praticamente in massa, sono stati i turchi residenti in Germania, Austria, Svizzera, Danimarca, Belgio, Olanda e Bosnia. Quest’ultima fa eccezione, perché da tempo la Turchia l’ha trasformata in un suo feudo anche perché come unica enclave musulmana in Europa così può premere su Bruxelles. Tutti gli altri sono Stati con cui Erdogan ha avuto più o meno a che ridire, tutti stati in cui il suo sì ha collezionato preferenze dal 54 al 78%.. E’ la dimostrazione che con questo voto, il super presidente, ottiene due scopi. Il primo è il passaggio della sua riforma, il secondo è quello di essere entrato in Europa, anche se a modo suo. E in questo modo sarà molto difficile cacciarlo.

Verità e frottole sulla vittoria di Erdogan al referendum in Turchia

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