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Corrisponde perfettamente al profilo di vescovo che ha in mente Papa Francesco monsignor Mario Enrico Delpini, scelto da Bergoglio come arcivescovo di Milano. È callejero, di strada, già dall’abitudine quotidiana di affrontare il pavè ambrosiano in sella a una bici. Fino ad oggi non ha abitato il palazzo arcivescovile di piazza Fontana, preferendo la Casa del clero in via Settala – a metà tra la stazione centrale e porta Venezia – insieme ai sacerdoti anziani e alla comunità degli Oblati dei santi Ambrogio e Carlo, fondati dal Borromeo nel 1578. Corrisponde all’identikit di Francesco anche per la vicinanza alla gente e ai sacerdoti, e un forte legame con la diocesi: Delpini ha infatti sempre svolto il suo ministero in terra ambrosiana, prima in seminario, come insegnante e rettore, poi come vicario episcopale e, infine, dal 2012, come vicario generale, cioè numero due del predecessore Angelo Scola. Bergoglio ha quindi utilizzato lo schema già utilizzato altre volte di pescare il pastore dall’ovile diocesano, come accaduto a Roma, con Angelo De Donatis (anche lui ausiliare, pugliese di nascita ma che da sacerdote e vescovo non si è più mosso dalla capitale), ma non, ad esempio, a Bologna, dove per il dopo Caffarra è stato scelto il romano Matteo Zuppi. La scelta di Francesco, secondo la ricostruzione che ne fornisce Andrea Tornielli (Vatican Insider), è inoltre “caduta sul candidato che la consultazione interna nella diocesi aveva indicato come favorito”.

SCOLA PASSA LE CONSEGNE

L’uscente Angelo Scola aveva presentato le sue dimissioni al Papa, come prevede il diritto canonico, al compimento dei 75 anni di età, lo scorso novembre, quando ancora era in corso la visita pastorale in quella che con una certa enfasi viene spesso definita la più grande diocesi del mondo, anche se la più grande lo è sì, per storia e numero di parrocchie, ma non per estensione geografica. La successione ha conosciuto un’accelerazione dopo la visita del Papa a Milano, in marzo. Sarebbe stato lo stesso cardinale, che sedeva sulla cattedra di Ambrogio dal 2011, a chiedere a Bergoglio di nominare il successore in modo da iniziare il nuovo anno pastorale (che tradizionalmente coincide con l’8 settembre) con il neo arcivescovo già eletto. Per il cardinale da tempo si sta preparando il buen retiro a Imberido, sulle rive del lago di Annone. Nella lettera “ai battezzati, alle donne e gli uomini delle religioni e di buona volontà” a conclusione della visita pastorale, l’arcivescovo uscente passa idealmente le consegne al successore, quando descrive le comunità cristiane “non solo ben radicate nella storia secolare della nostra Chiesa, ma capaci di tentare, su suggerimento dello Spirito, adeguate innovazioni”. E aggiunge: “È inutile insistere troppo sull’analisi degli effetti della secolarizzazione… Non dobbiamo più racchiuderci tristi in troppi piagnistei sul cambiamento epocale, né ostinarci nell’esasperare opinioni diverse rischiando in tal modo di far prevalere la divisione sulla comunione… Ma, con una limpida testimonianza, personale e comunitaria, con gratitudine per il dono di Cristo e della Chiesa, siamo chiamati a lasciarlo trasparire come un invito affascinante per quanti quotidianamente incontriamo”. Il 148° arcivescovo di Milano riceve in eredità una diocesi enorme che nella sua storia ha dato alla Chiesa molti arcivescovi tra santi e beati – nel Novecento: Alfredo Ildefonso Schuster e Giovanni Battista Montini –, e cinque papi. Gli ultimi: Achille Ratti, poi Pio XI, e lo stesso Montini, diventato Paolo VI.

L’IRONIA LOMBARDA DEL MONSIGNORE

Mario Enrico da Gallarate, 66 anni il 29 giugno, è ambrosiano fin nel midollo. Da buon lombardo, non nasconde senso dell’humor e il gusto per la battuta ironica e riflessiva. Ha scritto nel 1998 Reverendo, che maniere! (Edizioni San Paolo) un testo per i preti e sui preti, “da regalare ai preti simpatici e da tirare dietro a quelli antipatici”. Gustoso un suo decalogo sulla confessione pubblicato recentemente da Avvenire, per canzonare le abitudini dei fedeli. Al numero uno c’è una raccomandazione a (non) “confessare i peccati degli altri invece che i propri (e confidare al confessore tutte le malefatte della nuora, dell’inquilino del piano di sopra e i difetti insopportabili del parroco, dopo aver accertato che il confessore non sia il parroco)”. Al settimo squilla un (non) “parlare con il confessore per mezz’ora del più e del meno e concludere: La ringrazio che mi ha ascoltato! Le auguro buona Pasqua, a Lei e alla Sua mamma”.

IL LEGAME COI PREDECESSORI

Le tappe del sacerdozio di Delpini sono tutte scandite in stretto rapporto con i predecessori. Entrato nel seminario di Venegono per la prima liceo a 16 anni, nel 1975 è ordinato sacerdote dal cardinale Giovanni Colombo. Laurea in Lettere classiche alla Cattolica, licenza in Teologia (a Milano) e diploma in Scienze patristiche (a Roma), ha insegnato greco e patrologia. Il cardinale Carlo Maria Martini lo sceglie prima come rettore a Venegono, poi come rettore maggiore dei seminari milanesi. È con il cardinale Dionigi Tettamanzi che nel 2006 viene nominato vicario episcopale per la zona di Melegnano. Nell’aprile 2012 Scola lo chiama a suo vicario generale e due anni dopo gli affida la formazione permanente del clero. È stato segretario della Conferenza episcopale lombarda ed è membro della Commissione per il clero e la vita consacrata nella Conferenza episcopale italiana.

GESTI, SORRISI CONTRO CLERICALISMO E PRETI MANAGER

Sorridente, di lui si sottolinea spesso l’ottimo rapporto con i fedeli. I sacerdoti li conosce uno ad uno. Gian Guido Vecchi sul Corriere della Sera lo descrive come un prete “a tutto tondo”. Ironico e vivace, “amato per la sua predicazione semplice e piana, ma a suo agio col greco antico come con l’inglese”. Insomma: ama i libri ma non i modi da intellettuale polveroso. Raccontando in marzo a Repubblica l’attesa dell’arrivo del Papa a Milano valorizzava il magistero di Bergoglio perché “non è fatto solo di parole, prediche, omelie, discorsi ma anche di gesti, di battute, di comportamenti precisi”. Ne lodava la vicinanza alla gente, e l’iniezione di “semplicità e di vivacità”, il fatto di “essere pastore con tratti di spontaneità e scioltezza”. Parole che, stando a chi lo conosce, descrivono lo stile di Bergoglio e calzano a pennello ad un ritratto dello stesso Delpini. Diceva ancora il neo arcivescovo: “La nostra Chiesa per quanto generosa, organizzata, intraprendente, è qualche volta segnata da ansia, tristezza, preoccupazione, dal pensiero di non farcela, di non avere abbastanza risorse per far fronte ai tanti problemi. La gioia del Vangelo è proprio uno di quei messaggi di cui abbiamo bisogno”. Commenta Tornielli: “Sono parole significative che indicano l’approccio peculiare di Delpini, il quale si preoccuperà meno sulle strutture contrastando sia il neo-clericalismo sia l’efficientismo che vede i preti trasformarsi in manager, per puntare maggiormente sul rapporto con i preti e sulla vita ordinaria delle parrocchie”.

COSA PENSA DI AMORIS LAETITIA

Sul discusso capitolo VII di Amoris Laetitia e la comunione ai divorziati risposati, il neo arcivescovo ha dettato nel maggio 2016 delle linee guida che vanno oltre le polemiche tra i sostenitori del sì o no a oltranza, invitando ad evitare “una lettura generale affrettata”, o a cercare “la risposta alla propria aspettativa”. Più importante di un lasciapassare, argomenta, è l’invito alla conversione “in un cammino di discernimento”. “Amoris Laetitia – scrive – indica il percorso lungo dell’accompagnare, discernere, integrare”.

PRESUNTE DISATTENZIONI E PRIME SPINE

Tra le prime spine che incontrerà nel suo cammino, con la nomina ad arcivescovo Delpini dovrà probabilmente attendersi il rinfocolarsi delle polemiche sulla gestione di un presunto caso di pedofilia. La vicenda vede coinvolto un sacerdote, don M., che nel 2011, quando era cappellano in una parrocchia del milanese, una notte avrebbe dormito nello stesso letto con un 15enne che frequentava l’oratorio. Il prete, denunciato nel 2014 dalla famiglia del minorenne, è ora a processo. Delpini, che ai tempi era vicario episcopale per la zona in cui ricade la parrocchia, avrebbe ricevuto la notizia del presunto abuso dal parrocco, spostando il cappellano in un’altra parrocchia, dove il prete imputato ha continuato per qualche tempo a occuparsi della pastorale degli adolescenti. Lo stesso Scola, nel 2015, rispondendo a una lettera dei genitori del giovane presunto oggetto di abuso, si scusò per “alcune scelte maldestre” dei suoi collaboratori: “Non è stato valutato con adeguato rigore il fatto già di per sé grave che don M. abbia passato la notte con un minore condividendo lo stesso letto. Improvvida è sta la scelta di trasferire don M. in un contesto pastorale che consentisse ancora una volta il contatto coi minori”. A metà giugno scorso, alla vigilia dell’apertura del processo a carico di don M. per violenza sessuale a danno di minori, una nota stampa dell’Arcivescovado ha smorzato i toni: “Diocesi e parrocchia hanno gestito il caso con scrupolo e coscienza provvedendo cautelativamente a sollevare don M. dal ministero e a trasferirlo a Roma per completare i suoi studi, ben prima che fosse presentata la denuncia a suo carico”. Intanto i legali della famiglia del ragazzo hanno citato la diocesi nel procedimento a carico di don M. per omessa vigilanza.

Mario Enrico Delpini, chi è il successore bergogliano del cardinal Scola a Milano

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