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Un cargo C-130j dell’Aeronautica Militare italiana è atterrato alle ore 18:00 di mercoledì 5 aprile all’aeroporto di Pratica di Mare con a bordo una ventina di feriti libici. L’aereo, inviato da Roma come unità di soccorso medico in Libia, era decollato dall’aeroporto Benina di Bengasi. Questo è il principale dettaglio di tutta la vicenda, perché Bengasi è la città dove il generale Khalifa Haftar sta combattendo da anni una battaglia con esiti a scatti contro alcune sacche di resistenza – gruppi islamisti più o meno radicali fino a residui libici dei combattenti dello Stato islamico.

Feriti libici imbarcati su un aereo militare italiano alla presenza dell’ambasciatore italiano Giuseppe Perrone, e diretti al Policlinico militare del Celio di Roma, come conferma la Farnesina, significano che l’Italia sta dando un aiuto materiale ad Haftar.

E questo è interessante perché la posizione ufficiale dell’Italia è di sostegno al governo proposto dall’Onu con sede a Tripoli, di cui Haftar è la principale opposizione armata. Ma Roma ultimamente ha aperto più volte a una possibilità inclusiva per il signore della guerra della Cirenaica. Perrone poco prima di accompagnare i feriti sul C-130 dell’Aeronautica era a un vertice con il generale e la sua controparte politica, Aghila Saleh, presidente del parlamento legittimo di Tobruk, che da un anno sta bloccando il percorso deciso dal programma di riunificazione firmato dall’Onu, impedendo il voto che dovrebbe legittimare la fiducia politica al premier scelto dall’accordo mediato dalle Nazioni Unite, Fayez Serraj.

Il 17 gennaio, durante un’audizione alle Commissioni riunite Esteri di Camera e Senato il ministro degli Esteri italiano Angelino Alfano aveva ribadito la volontà italiana di includere Haftar nel processo di pace sotto egida Onu, e annunciato che Roma avrebbe offerto al generale aiuti medico-sanitari. Dall’est libico davanti all’annuncio del capo della diplomazia italiana s’era alzato un secco rifiuto, spinto dalle narrazioni colonialiste con cui venivano dipinti gli italiani in quel periodo, rei di fornire un supporto sempre dello stesso genere attraverso alcune equipe mediche militari – accompagnati da soldati in modalità di sicurezza – piazzate all’ospedale di Misurata. Là i medici italiani fornivano assistenza ai miliziani misuratini che hanno liberato Sirte dall’occupazione baghdadista, però i miliziani di Misurata, che sostengono il progetto dell’Onu, sono nemici giurati (reciprocamente) di Haftar e per questo dall’Est libico gli aiuti italiani sono descritti come un’occupazione.

Pochi giorni prima di aver rifiutato l’offerta italiana, Haftar era salito a bordo della portaerei russa “Admiral Kuznetsov”, che aveva fatto tappa sulle coste libiche di ritorno dalla Siria. Là il generale aveva parlato in video conferenza con il ministro della Difesa russo, ricevuto aiuti medici, e firmato protocolli di intesa per la lotta al terrorismo: un esplicito segnale al mondo che era ben saldo sotto l’ala protettrice di Mosca. Il 28 marzo il ministro degli Esteri italiano era in Russia, dove ha avuto un colloquio con il suo omologo Sergei Lavrov, e si è parlato anche di Libia. Il 4 aprile il ministro degli Interni Marco Minniti è volato in visita lampo a Mosca, dove ha incontrato il parigrado Vladimir Kolokoltsev, e il segretario del Consiglio di sicurezza della Federazione russa, Nikolai Patrushev. Incontri che potrebbe aver strutturato una qualche partnership sulla questione libica, che magari passa anche dall’aver fatto accettare gli aiuti medici a Haftar.

Tutti i primi segnali sulle sinergie fra Italia e Haftar

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