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Dopo la mossa della Banca centrale europea (Bce), che ha messo nero su bianco che il fallimento sarebbe stato a un passo, va via via profilandosi il destino della Popolare di Vicenza e di Veneto Banca. Obiettivo ultimo è consegnare i due istituti di credito veneti a Intesa Sanpaolo, che nei giorni scorsi ha messo sul piatto la cifra simbolica di un euro per rilevare solo la parte buona delle due banche.

LA PROCEDURA
La sera del 23 giugno, la Bce ha dichiarato “in dissesto” o “prossime al dissesto” la Popolare di Vicenza e Veneto Banca, informando il Single Resolution Board (Srb), l’authority europea per la risoluzione delle banche in crisi presieduta dalla tedesca Elke König, che non era applicabile lo standard comunitario. Ciò significa che non si applicherà la risoluzione con le regole del bail-in ma che si rientrerà nella cornice della liquidazione coatta secondo le normative italiane. E’ questo passaggio che eviterà il sacrificio degli obbligazionisti non subordinati, che al contrario l’applicazione rigorosa del bail-in avrebbe imposto. Subito dopo la mossa della Bce, il ministero dell’Economia ha reso noto che il governo adotterà “le misure necessarie ad assicurare la piena operatività bancaria, con la tutela di tutti i correntisti, depositanti e obbligazionisti senior”, cioè non subordinati. In pratica Palazzo Chigi si appresta a varare un decreto legge che crea le condizioni per la cessione delle attività in bonis delle due banche a Intesa, gruppo guidato da Carlo Messina.

CHI VINCE…
Ammesso e non concesso che l’operazione, molto complicata, vada in porto, Messina e la sua Intesa sembrano i veri vincitori di questa storia. La banca milanese, infatti, compra solo la parte buona delle due banche, quindi al netto innanzi tutto delle sofferenze e degli altri crediti, per un euro. La parte cattiva, comprese le obbligazioni subordinate, finirà in una bad bank a carico dello Stato, finanziata con denaro pubblico. Con soldi dei contribuenti si dovrebbe anche ripatrimonializzare la banca nuova prima che Intesa la compri. Oltre a Intesa, come detto, con l’applicazione di questio schema, vincono gli obbligazionisti non subordinati, che vengono risparmiati.

…E CHI PERDE
Perdono invece gli azionisti, gli obbligazionisti subordinati, che saranno azzerati, nonché i contribuenti, su cui grava gran parte dell’operazione, per un totale che secondo Repubblica potrebbe arrivare a sfiorare i 12 miliardi di euro. Il Tesoro sta cercando di trattare con Intesa un modo per cui la banca guidata da Messina rischi qualcosa di più, ma l’istituto di credito è in una posizionale contrattuale di estrema forza. Per questo c’è chi sostiene che tra gli sconfitti ci sia anche il ministero del Tesoro guidato da Pier Carlo Padoan, anche perché avrebbe aspettato troppo tempo prima di mettere fine alla crisi degli istituti veneti.
A perdere sarebbe poi il management – in uscita – dei due gruppi, a cominciare dall’ad di Vicenza, Fabrizio Viola (nella foto), un anno fa ai vertici del Monte dei Paschi, e da quello di Veneto Banca, Cristiano Carrus: i loro piani industriali e progetti di fusione, in questo modo, saltano. Viola, secondo indiscrezioni, potrebbe essere “recuperato” ai vertici della bad bank, come liquidatore.

E CHI SI SFOGA
A perdere è anche l’ormai ex presidente di Popolare di Vicenza, Gianni Mion, che ha colto l’occasione per sfogare tutta la sua delusione. “Ora tutti adesso pensano basti un euro” per le banche venete. “Io non posso valutare la proposta, non mi posso lamentare dei professori, io sono stato bocciato. È stato bocciato tutto, le persone, il piano e pure io”. E ancora: “Ormai hanno deciso così, oggi è tempo di esami, sono stato bocciato. Ormai è inutile prendersela con i professori”. E che i professori vadano cercati dalle parti di Intesa Sanpaolo sembra quasi scontato.

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