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Ora che l’assemblea nazionale del Pd è stata sciolta e bisognerà attendere la nuova, che sarà eletta da un congresso di “rito abbreviato”, come lo hanno definito gli avversari di Matteo Renzi adottando il linguaggio del magistrato in aspettativa Michele Emiliano, resta solo da sapere se e quando si potranno misurare le dimensioni della scissione lungamente minacciata.

Ma soprattutto resta da capire se alla quantità finale della scissione avranno contribuito più le sette ore scarse di discussione svoltesi nella vecchia assemblea nazionale o le due ore, contate dal nostro Bruno Guarini, che hanno impiegato i tre concorrenti delle minoranze alla segreteria – lo stesso Emiliano, Enrico Rossi e Roberto Speranza, in ordine rigorosamente alfabetico – per emettere un comunicato congiunto di rinnovata ostilità a Renzi.

Due ore, con la rapidità dei mezzi di comunicazione oggi per fortuna esistenti, sono tante. Come tanta era stata la confusione creata fra gli avversari di Renzi dall’intervento a sorpresa pronunciato verso la fine del dibattito nell’assemblea nazionale proprio dal governatore pugliese Emiliano. Di cui a sentirlo, anche noi che ce ne siamo stati tranquilli a casa godendoci – si fa per dire – la maratona televisiva di Enrico Mentana su la 7 – non sapevamo ad un certo punto se cogliere di più l’inusuale mitezza o la disinvoltura.

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All’improvviso, dopo mesi di attacchi durissimi a Renzi, di promesse di fargli vedere di che cosa fossero capaci lui e gli altri avversari, e settimane di raccolta di firme e di minacce di ricorsi giudiziari, con “le carte bollate”, per obbligarlo ad avviare le procedure congressuali, Emiliano è andato mogio mogio al podio per chiedere scusa all’ormai ex segretario, dimessosi appunto per andare al congresso. Sì, scusa per l’”equivoco” in cui il governatore pugliese, prima di avvedersene parlando al telefono con l’interessato, era caduto ritenendo, al pari degli altri avversari, che Renzi avesse messo il turbo al congresso per metterlo anche alle elezioni, anticipando di sei mesi e rotti la fine della legislatura cominciata nel 2013.

In più, anticipando di una decina di giorni la fine del Carnevale e l’inizio della Quaresima, con quegli abbondanti capelli grigi che sembravano cosparsi di cenere, Emiliano ha chiesto a Renzi di essere generoso con i concorrenti. “Tu sicuramente vincerai”, ha riconosciuto il governatore chiedendosi e chiedendo che cosa potesse mai costargli la generosità di allungare i tempi del congresso per togliere – testuale – “alibi” agli avversari decisi alla rottura, cioè alla scissione, se -ha aggiunto con un misto di cautela e di furbizia- di alibi davvero si trattava.

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Nella sorprendente escalation di umiltà, disponibilità, pentimento, chiamatelo come volete, Emiliano è arrivato a garantire a Renzi, parlando al plurale, che se mai fossero riusciti ad ottenere la conclusione del percorso congressuale dopo le elezioni amministrative previste tra maggio e giugno, riguardanti una lunga lista di città importanti e una decina di milioni di elettori, gli avversari non avrebbero utilizzato gli eventuali risultati negativi contro l’ormai ex segretario in corsa per la riconferma.

Nella foga pur dimessa dell’intervento, chiedendo a Renzi -“tu che puoi”- un gesto, una risposta Emiliano si è dimenticato di essere rimasto ormai senza interlocutore perché, essendosi dimesso da segretario, Renzi non poteva neppure replicare alla fine della discussione. Come in effetti non ha replicato, appartenendo i passaggi successivi del percorso congressuale alla direzione del partito e alla commissione che essa nominerà martedì sera.

Sulle procedure, nonostante la decantata dimestichezza con le “carte bollate”, il povero Emiliano in questa storia del congresso piddino ha dimostrato di essere, diciamo così, simpaticamente scarso. C’è solo da augurarsi che non lo sia diventato anche per quelle giudiziarie, nel caso in cui dovesse stancarsi della politica e riprendere il lavoro di magistrato.

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Debbo confessarvi che più sentivo Emiliano parlare, più mi veniva la tentazione di chiamare il mio amico Peppino Caldarola, già direttore dell’Unità, già parlamentare dei Ds-ex Pci ed ora collaboratore dell’amico Enrico Rossi, governatore della Toscana e uno dei tre moschettieri, chiamiamoli così, della sfida a Renzi, con Emiliano e Roberto Speranza. Lo volevo chiamare per complimentarmi della lucidità con la quale mi pareva avesse rappresentato il governatore della propria regione, la Puglia, in una intervista alla pugliese, pure lei, Gazzetta del Mezzogiorno.

“Sta disperatamente cercando – ha detto testualmente Caldarola di Emiliano più di 24 ore prima di poterne sentire l’intervento all’assemblea nazionale – uno spazio per tornare con Renzi”, da cui “non è diverso”. E ancora: “E’ un irregolare della politica. E’ capace di offrire passione, verve e anche una certa dose di ambiguità”.

Impietoso il giudizio anche di Massimo D’Alema su Emiliano, pensando evidentemente di conoscerlo bene come i suoi polli, oltre ai suoi vini e ai suoi cani. “L’anello debole” – della catena antirenziana evidentemente – “è Emiliano. Sa che non sarebbe lui il leader del nuovo partito ed è tentato dal compromesso”, ha detto l’ex presidente del Consiglio. Sono dichiarazioni riportate da uno specialista delle vicende della sinistra italiana, Federico Geremicca, e pubblicate su La Stampa di domenica, prima che cominciasse a pochi passi dalla romana Villa Borghese la seduta dell’assemblea nazionale del Pd.

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