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Non è facile oggi combattere l’euroscetticismo e rimettere l’Europa in cammino, anche perché oggi siamo in pieno ciclo elettorale e sul tavolo ci sono non solo opzioni contrapposte, come quelle appena apparse del Libro Bianco di Juncker, ma anche proposte non ancora capaci di rappresentare progetti coerenti e credibili.

Il sovranismo non è la risposta, ma vanno considerate le questioni da cui nasce – globalizzazione, aumento delle disuguaglianze e percezione di un aumento dell’insicurezza – a cui bisogna rispondere.

DOMANDA DI CAMBIAMENTO E GOVERNANCE

Alla radice delle difficoltà europee c’è l’inadeguatezza della risposta della Eu ai bisogni di sicurezza e benessere dei cittadini europei. La Eu si è troppo e troppo a lungo concentrata su mercato ed economia, trascurando, di fatto, il resto, tant’è che gli interventi sulla Governance e i passi avanti compiuti, sono rappresentati da Esm, Unione bancaria e dal Piano Juncker per gli investimenti.
Le proposte di cambiamento della Governance complessiva, da quella dei 4 Presidenti del 2012 prima e dei 5 Presidenti poi, a quella dei Governatori delle Banche centrali di Germania e Francia per un Ministro delle Finanze europeo, non hanno fatto significativi progressi.
Per rispondere alla domanda di cambiamento occorre che l’Unione mostri la sua capacità di produrre beni collettivi per tutti, riavvicinando società ed istituzioni Eu. Per farlo, c’è bisogno di:

1. Utilizzare le potenzialità del Trattato di Lisbona. Non è tempo di modifica dei Trattati. Le recenti risoluzioni del Parlamento europeo indicano una ripresa d’iniziativa a favore dell’approccio sovranazionale, rispetto al prevalere del metodo intergovernativo ed esprimono un forte richiamo alle opportunità offerte dal Trattato di Lisbona, che sono rimaste sulla carta. Gli obiettivi della Strategia Eu 2020 non hanno goduto dei meccanismi previsti per assicurare il rispetto delle regole in materia di debito, bilancio pubblico e concorrenza. Perché non creare stimoli ed incentivi capaci di sollecitare le potenzialità del Trattato di Lisbona su educazione, occupazione, innovazione ed energie rinnovabili, tanto più che esse sono priorità da tutti riconosciute?

2. Per ristabilire un dialogo tra cittadini ed Istituzioni conta un’azione dal basso come quella dei “corpi intermedi” e serve un’Eu più leggera. Non bisogna dimenticare che il principio fondante degli interventi dell’Unione è quello della “sussidiarietà”. È un principio che, se ben applicato, porterebbe all’auspicata riduzione dell’eccesso di regolamentazione che grava sull’Europa.

3. Puntare su un forte impegno delle politiche sociali. La questione delle politiche sociali pone quella delle “risorse proprie” e quella del livello di governo che meglio le può realizzare. Una politica concretamente indirizzata allo sviluppo inclusivo e sostenibile ha bisogno delle risorse necessarie a realizzarla.

4. Un punto imprescindibile è quello della creazione di uno spazio fiscale comune (non una fiscalità comune) che consenta la creazione di un bilancio dell’Unione capace di strategie comuni in materia di politiche sociali e interventi per la sostenibilità dello sviluppo. La proposta che si esprime qui è quella dell’adozione di un approccio “bottom up” che, partendo dall’esigenza di affrontare problemi comuni ed urgenti, come la gestione delle frontiere, i flussi migratori, le questioni della sicurezza e della difesa, l’ambiente, apra uno spazio fiscale comune. L’idea è che la fiscalità, rigettata ogni volta che se ne parla in via di principio, possa diventare possibile e praticabile un volta che la si applichi su problemi concreti.

REGOLE E POLICIES

5. Occorre riconoscere la sostanziale inadeguatezza delle policy macroeconomiche adottate in questi anni. Non si è intesa per tempo la natura strutturale della crisi che si è aperta nel 2007 e si sono adottate politiche anticicliche del tutto inadatte a fronteggiare la quasi-stagnazione che ci siamo trovati a fronteggiare. Abbiamo impiegato molto tempo (troppo) a riconoscere l’inadeguatezza delle politiche di austerità nel risolvere una crisi in cui l’elemento dominante era l’insufficienza della domanda e di quella dell’investimento in particolare.

6. Bisogna prendere atto che al di là delle misure e degli effetti, è senza dubbio vero che i Trattati non prevedono percorsi di uscita dall’euro, che invece sono previsti per l’uscita dalla Eu (Brexit docet). L’uscita, se si verificasse, avverrebbe in una situazione di default finanziario. Non solo. Ma non è affatto vero che l’uscita risolverebbe i problemi competitivi dei paesi più deboli dell’Eurozona, a cominciare dal nostro. Essa li condannerebbe, piuttosto, ad un inseguimento dei paesi più competitivi attraverso la svalutazione. C’è, semmai, da affrontare il problema del debito pubblico in un’ottica concordata tra i paesi.

7. Occorre iniziare dall’Eurozona e rivedere le regole del Fiscal Compact, anziché concentrarci sulla flessibilità delle regole di Maastricht. Il Fiscal Compact, in mancanza di scelte alternative, verrà collocato nei Trattati, ma ha mostrato la sua inadeguatezza a seguire le diverse fasi del ciclo economico ed, in particolare, quelle recessive.

8. Va dato spazio agli investimenti nei bilanci dei paesi dell’Eurozona. Allo stesso tempo bisogna mantenere i conti in ordine, applicando alle spese correnti regole stringenti. Il deficit massimo del 3% del PIL, deve nascere solo da spese di investimento. Allo stesso tempo, occorre legare le spese pubbliche di investimento ad una valutazione ex ante sul loro ritorno.

9. Occorre riprendere la proposta avanzata nel 2014 dalla Commissione di una politica industriale comune. È sempre più evidente che la competizione tra le grandi aree del mondo ha messo in moto una forte spinta a rivedere politiche, accordi commerciali e sostegni alle politiche per l’innovazione. Le scelte dell’Amministrazione Trump sono emblematiche al riguardo, creano potenziali difficoltà alla Eu, ma anche opportunità. Basta pensare che la scelta Usa di rinforzare le spese militari si accompagna ad un ridimensionamento dell’impegno su cambiamento climatico, tecnologie ambientali ed energie rinnovabili.

10. Puntare sull’innovazione, soprattutto nell’area energetico-ambientale in cui, non solo l’Unione ha molto investito, ma che presenta grandi prospettive di cambiamento tecnologico. L’innovazione è il principale driver dello sviluppo ed è su di essa che l’Unione deve concentrare le proprie scelte industriali.

11. Serve, in quest’ottica, una scelta di medio-lungo periodo per la politica economica. Per troppo tempo si è, invece, praticata solo quella anticiclica, di breve periodo. È necessario che le politiche di coesione territoriale tengano conto della differente competitività dei territori. Per i paesi del Sud Europa la scelta potrebbe essere quella di una strategia Euro-mediterranea per la logistica tante volte evocata, non mai posta in essere.
Sarebbe anche una risposta alla domanda di mettere in campo uno sviluppo sostenibile per la sua capacità potenziale di attenuare le disuguaglianze territoriali tra Nord e Sud.

12. Serve un’Europa a più velocità e/o a geometria variabile? Difficile fare una previsione su quello che accadrà in futuro, anche se l’esperienza della Brexit sembra far propendere per un’Europa con obiettivi e velocità differenziate. Ma se questa fosse l’evoluzione che ci aspetta, non si potrebbe, in ogni caso, rinunciare ad un nucleo di riferimento, i cui componenti condividono tutti gli aspetti dell’Unione, a cominciare dall’euro, senza che, per questo, ci sia un’Unione di serie A ed una di serie B.

brexit, Unione europea, Paganetto

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