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Accade in un tranquillo paesino dell’hinterland ferrarese, dove la qualità della vita è più che dignitosa, in una villetta di Pontelangorino di Cordogno: due minorenni, amici per la pelle, progettano l’omicidio dei genitori di uno dei due che, mal sopportando le loro prediche, li voleva morti e l’altro che, per amicizia e non per i soldi promessi, esegue freddamente il duplice delitto.

Cos’è successo nella mente dei due minorenni? Cosa li ha spinti a ideare e compiere un simile efferato e crudele atto? Se lo chiedono le mille anime del paesino incredule: erano due bravi ragazzi, e se lo chiede la comunità scientifica: muta, invece, la Politica, inerme di fronte a un fenomeno sociale che dir inquietante è dir poco.

Droga e denaro? Scarso rendimento scolastico e conflitto genitori-figlio? Disagio giovanile e svogliatezza? Ipotesi sul possibile movente che mal si conciliano con tanta, assurda crudeltà. Nonostante risuoni l’eco di altri simili delitti, si tratta pur sempre di una minoranza rispetto a tantissimi minorenni che con le stesse problematiche non arrivano a tanto.

Fredda frivolezza con la quale vengono messi a morte i genitori […] il figlio non mostra alcun segno di pentimento, registra su Repubblica lo psicanalista Massimo Recalcati, secondo cui quel che colpisce dell’atroce delitto è l’assenza di senso di colpa […] nella società attuale la sua estinzione prepara ad una dimensione predatoria dei rapporti umani. E richiamando prima il mito freudiano di Edipo e poi quel onora tuo padre e tua madre, uno dei comandamenti biblici più belli, conclude: riconoscere la propria colpa è il primo indispensabile passo affinchè la Legge possa iscriversi nel cuore dell’uomo.

Una tesi questa contraddetta dallo psichiatra Martino Riggio che viceversa registra nel duplice delitto la gravissima presenza dell’anaffettività. Riconoscere la propria colpa come sostiene Recalcati vuole dire che nel genere umano alberga la possibilità fare cose come quelle che stiamo commentando. Riconoscerlo ci porterebbe ad un senso di colpa che ci farebbe desistere dal fare questi delitti e ad accettare la necessità della Legge come dissuasore di questi comportamenti. Assurdità. Niente che faccia pensare a una, per così dire istanza interna, non esterna come la Legge, a una identità interna, ovviamente sana, che ci renda impossibile anche solo ipotizzare certe cose.

Sarebbe, dunque, pericolosissima la tesi dell’opinionista di Repubblica. Da una parte conduce all’idea che è normale essere schizofrenici. Se consideriamo anche solo quest’ultimo caso mi sembra che – precisa Riggio – l’opinione pubblica non ritenga affatto normale la storia di questi due ragazzi. La malattia, l’anaffettività, che è un sintomo quasi patognomonico di schizofrenia, si coglie palese in ogni frase che venga riportata.

E lo psichiatra la frasi inquisite le enuncia una dietro l’altra. La sera del delitto vanno a dormire a casa dell’amico, tranquilli, l’amico dice che voleva togliere un peso dal cuore all’altro, che comunque aveva ragione a volere la morte dei genitori, gli avevano dato del fallito, ed era il suo migliore amico, lo avrebbe fatto anche gratis. Nella playstation che frequentavano si uccideva per molto meno, anche gratis, come ha detto lui. E via di seguito. Non hanno minimamente capito, colto, realizzato cosa è successo. Probabilmente – chiosa – si stupiranno di tutto questo clamore mediatico. Alla fine cosa hanno fatto? Hanno solo ucciso due persone. E questa è anaffettività, sembra stupidità ma non lo è.

Insomma, conclude Riggio, che si rifà alla teoria della nascita di Massimo Fagioli, da un punto di vista più generale il pensiero di Recalcati conduce alle derive più reazionarie e conservatrici. Serve la Legge per chi non riesce a essere piegato dal senso di colpa. E’ puro fascismo. E l’annullamento della realtà umana degli essere umani conduce a poter considerare gli altri come non esseri umani. E purtroppo qui mi sembra che il riferimento non sia al fascismo ma al nazismo. Distruggere, o meglio fare sparire, una parte di essere umani che non venivano più considerati esseri umani, quindi potevano essere uccisi, e fatti tranquillamente sparire. L’immagine di gerarchi nazisti, impiegati in campi di sterminio, che dopo le normali ore lavorative impiegati a gassificare o comunque uccidere altri esseri umani e tornavano a casa a giocare coi bambini, ricorda l’immagine di Pietro Maso che al processo che gli veniva fatto accusandolo dell’omicidio dei genitori, aveva una unica preoccupazione, quella di curare l’immagine personale, i propri capelli, il vestiario perché ci sarebbe stata la televisione. E’ l’anaffettività che porta a non cogliere più il significato, la portata, il senso, il peso di quanto prima viene pensato e poi viene fatto. E cose terribili e inimmaginabili appaiono improvvisamente come possibili.

Riconoscere l’anaffettività nella normalità diviene per la Politica inerme e impotente e per la Cultura sottostante, la preziosa via d’uscita per emanciparsi da vecchie e fasulle teorie come quella freudiana o quella religiosa o quella comunista.

DELITTO FERRARA: FRIVOLEZZA? NO, ANAFFETTIVITA'

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