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C’è un altro settore in cui sembrano intersecarsi le preoccupazioni europee riguardo la cybersicurezza e la competitività delle proprie industrie: l’eolico. Come racconta Euractiv i funzionari della Commissione europea sarebbero impegnati a progettare misure per proteggere i produttori europei di turbine eoliche dalla concorrenza cinese. E l’aspetto di sicurezza informatica sta prendendo piede in parallelo alle considerazioni sui requisiti di produzione domestica e le eventuali tariffe antidumping.

L’evento scatenante è stata la vittoria di un produttore cinese di turbine eoliche in una gara d’appalto serba a fine 2023. L’industria europea aveva convogliato la sua preoccupazione nelle parole del ceo dell’ente di riferimento, Giles Dickson di Wind Europe, secondo cui il tema comprendeva “interessi di sicurezza più ampi” oltre alle considerazioni economiche.

Poche settimane dopo la Commissione europea ha presentato un Pacchetto eolico europeo, dove spicca una misura legale per permettere ai Paesi Ue di escludere le aziende straniere sulla base di criteri di prequalificazione, tra cui la sicurezza informatica. Insomma, le turbine eoliche che non soddisfano determinati criteri di cybersicurezza (in fase di definizione) potranno essere escluse dalle gare di appalto per la costruzione dei parchi eolici nazionali.

Le mosse della Commissione sono in linea con quelle in campi paralleli, dove si sta imponendo la dimensione securitaria, declinata in termini commerciali ed economici ma anche strategici (tendenza crescente da quando Vladimir Putin ha tentato di usare le forniture di gas come arma contro l’Europa). Questa tendenza al de-risking vale soprattutto per le industrie legate alla transizione verde, il cui sviluppo è strettamente legato alle ragioni di sicurezza energetica europea, come si è visto dalle mosse di Bruxelles.

A settembre 2023 l’esecutivo Ue ha avviato un’indagine antidumping sulle auto elettriche cinesi (e oggi sembra intenzionato ad applicare tariffe correttive). È avvenuta la stessa cosa anche con la sovrapproduzione dell’acciaio cinese. Nel mentre, quello che è rimasto dell’industria solare europea dopo la decimazione ad opera della concorrenza cinese (e oggi a rischio per via dei controlli alle esportazioni cinesi sulle materie prime) sta chiedendo misure di emergenza per evitare di dover chiudere le operazioni europee e trasferire l’operazione negli Stati Uniti – dove sono in campo misure protezioniste ben più stringenti.

È proprio l’affiancamento a Washington, molto visibile nel campo dei semiconduttori (dove il triangolo Usa-Olanda-Giappone è ormai consolidato), che richiama il caso di Huawei – il colosso cinese delle telecomunicazioni che gli Usa prima e diversi Paesi Ue poi, a intensità diverse, hanno bandito dalle reti nazionali. Il filo rosso di queste mosse era (è) la sicurezza informatica, e il rischio che le apparecchiature 5G, determinate a giocare un ruolo sempre più importante con l’espandersi della digitalizzazione, possano diventare macchine di spionaggio di massa nelle mani del Partito-Stato – che può per legge attingere alle informazioni private delle sue aziende.

C’è un rischio digitale: le turbine eoliche moderne possono essere gestite e persino spente a distanza, lasciando una certa superficie d’attacco per un’aggressione ibrida, e rimandando dati in quantità verso i produttori. E naturalmente c’è anche una ratio economica. Dopo un 2023 anemico e diversi progetti saltati, il settore eolico è in sofferenza – e c’entrano sia l’inflazione delle materie prime, sia la competizione asimmetrica con la Cina.

Nel caso di Huawei, l’estirpazione delle componenti cinesi ha avvantaggiato i produttori europei come la svedese Ericsson o la finlandese Nokia, proteggendole dalle distorsioni di mercato di un’industria che Pechino vede come strategica e ricopre di sussidi. Come l’industria del solare (e in parte quella delle auto), anche i produttori europei di turbine eoliche sperano di arrivare a un risultato simile.

Turbine come il 5G. Bruxelles mette l’eolico cinese nel mirino

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