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Emmanuel Macron è stato eletto presidente della Repubblica con 20 milioni 703.361 voti, Marine Le Pen ha ottenuto 10 milioni 637.183 consensi, molti senza dubbio, ma un divario del genere suscita subito una domanda di fondo: era davvero razionale credere che la leader del Front National potesse vincere? La paura di una estrema destra che ha cambiato il pelo non i vecchi vizi, come è emerso nettamente durante il dibattito televisivo, ha offuscato le nostre menti o il gioco illusionistico del circo mediatico-politico ha provocato una lunga serie di abbagli?

Prendiamo il malessere della Francia e il capro espiatorio chiamato euro. La Le Pen ha detto in tv che con la moneta unica i francesi hanno visto crollare il loro potere d’acquisto. “Falso” ha scritto Le Figaro che ha pubblicato una meticolosa analisi dei fatti e delle bugie: i francesi hanno visto migliorare del 20% in media il loro tenore di vita. Perché avrebbero dovuto far saltare il banco, come molti avevano immaginato?

Macron era il candidato dell’élite e la Le Pen della Francia profonda, quella dimenticata, quella vera? Il successo del neopresidente analizzato secondo le prime indagini per fasce di età, collocazione geografica e gruppi sociali, mostra con netta evidenza che ha vinto largamente, più o meno con la stessa percentuale, pressoché ovunque, ha persino conquistato i giovani che la maggior parte dei guru mediatici avevano regalato al Front National.

Dunque non è vero che la Francia è divisa? E’ forse falso che c’è un forte malessere sociale, che gli operai della Whirlpool si sentono fregati non sono dalla multinazionale americana, ma dagli operai polacchi che accettano di lavorare con salari infinitamente più bassi? Non è vero che dentro l’Europa c’è una competizione economica e sociale che alimenta il protezionismo, il nazionalismo, il rifiuto dell’Unione? Tutto questo esiste, è un problema serio quanto complesso, ma non ha innescato nessun rifiuto di massa. E’ ora di riconoscerlo e farla finita con la propaganda irrazionale. La Francia è divisa, certo, anche politicamente, ma non a metà, bensì due terzi contro un terzo. E non è una differenza da poco.

L’immigrazione, è stato detto, è un tema decisivo, come lo è stato in Inghilterra con la Brexit. E su questo il FN è più efficace. Non è successo niente del genere. Vuol dire che i francesi non sono preoccupati da un flusso migratorio che alimenta tensioni domestiche pre-esistenti? Lo sono, ma non per questo hanno dato fiducia alla Le Pen.

Il terrorismo islamico, secondo molti, doveva gettare benzina sul fuoco della destra radicale. Invece non è stato così. Ciò significa che l’islamismo fondamentalista e il terrorismo musulmano siano un falso problema? No. Ma due terzi dei francesi non ha ritenuto Marine Le Pen più credibile e rassicurante.

Il FN o come si chiamerà adesso, è il primo partito d’opposizione, è la vera destra? Vedremo, aspettiamo l’esito delle elezioni legislative per capire come sarà la nuova Assemblea nazionale, quale maggioranza parlamentare avrà Macron, quanto avranno i post-gaullisti e via dicendo. Troppe smentite consigliano di non lanciarsi in previsioni non fondate sui fatti.

Questo vale anche per un’altra analisi che va per la maggiore, cioè che la vittoria di Macron segna la sconfitta dei partiti tradizionali. En Marche, che certo non è un partito tradizionale, si trasformerà in una formazione politica radicata nel territorio e nelle istituzioni. Cosa faranno i Repubblicani? Quanto al Front National, è un partito tradizionale sia pur familista, fin dal 1973, nato a somiglianza del Movimento sociale italiano per raccogliere la fiamma del fascismo, accesa anche in Francia, ed entrato molto presto nel gioco politico, usato da François Mitterrand per mettere in crisi la destra gaullista e via via manovrando. E’ tanto tradizionale che Marine vuole cambiargli nome e far dimenticare persino il suo proprio cognome. E’ vero invece che le elezioni segnano la débacle di un partito, quello socialista, distrutto non solo dalla modestia di Hollande, ma dalla incapacità di rinnovarsi e uscire dagli schemi novecenteschi nei quali è intrappolato.

L’elenco delle analisi troppo deboli per essere vere, si può allungare a piacere, ma concentriamoci sull’Europa. Mitterrand, appena eletto, attraversò a piedi la piazza del Panthéon per rendere omaggio ai grandi di Francia. Macron ha attraversato il cortile del Louvre, è passato accanto alla piramide voluta da Mitterrand (creando così un legame ideale con un presidente che, partito dalla unione della sinistra, ha saputo uscire dagli schemi e unire i francesi) accompagnato non dalla Marsigliese, ma dall’Inno alla gioia. Il senso simbolico è chiaro e non serve aggiungere altro. Ha mostrato, e lo ha detto chiaramente, di aver ricevuto dai francesi un mandato europeista.

Ma quale Europa ha in mente il nuovo presidente? Ha subito chiamato Angela Merkel annunciandole un immediato viaggio a Berlino. Riparte l’asse franco-tedesco? Vedremo, anche se bisogna essere cauti. Brucia come una ferita mai rimarginata l’errore madornale commesso a Deauville, nell’autunno 2010, dalla strana coppia Sarkozy-Merkel quando annunciarono che anche un Paese può fallire e non ci sono ciambelle di salvataggio. “Fu il punto più alto dell’asse Parigi-Bonn”, ha detto con amaro sarcasmo Mario Monti che certo non è un euro-scettico. Sia la Merkel sia Macron lo sanno. Il progetto comune, non c’è dubbio, è far ripartire l’Unione a più velocità. Ma questo non richiede una fuga in avanti di Francia e Germania, bensì una proposta per rinnovare la governance dell’Unione e la sua politica economica. Ciò implica un consenso che può essere raggiunto coinvolgendo un arco ampio di paesi.

Infine l’Italia dove è già in corso da tempo il giochetto su chi è più macronista di Macron. Niente di più stucchevole. In Italia c’è una forza politica, il Pd di Renzi, che ha per molti versi anticipato il patto che il neo-presidente propone ai suoi concittadini: riforme in cambio di una diversa politica europea. Ma gli italiani hanno preferito rifugiarsi nella declamazione parolaia (vedi i 5 stelle), nel revanscismo protestatario (la sinistra radicale), nel rancore settario (anche se è stato filo-sovietico e non trotzkista in gioventù, D’Alema assomiglia a Mélenchon). Ciò influenza in modo negativo lo stesso Matteo Renzi che oggi cerca la propria rivincita annacquando l’originario progetto riformista. Cambierà lo spirito del popolo? Il Pd capirà dalla vittoria di Macron che è sempre meglio presentarsi agli elettori con una identità netta e proposte chiare? Chissà. L’Italia oggi è ancor più sola di fronte ai suoi problemi, quelli che non ha saputo risolvere e deve affrontare con le proprie forze. Come i francesi hanno promesso di fare eleggendo Macron.

In questa rassegna non possiamo trascurare la diga che ha bloccato i populisti: dall’Austria all’Olanda, dalla Francia alla Germania (come si è visto anche con le elezioni nello Schleswig-Holstein). I prossimi mesi ci diranno se è cominciato anche il riflusso. La lezione di Parigi è una e molto semplice: il modo migliore non è affidarsi al pifferaio magico, sempre pronto a incantare gli infanti, ma prendere in mano il proprio destino con spirito razionale e con l’ottimismo della volontà.

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Il successo di Macron smentisce le teorie farlocche del circo mediatico-politico

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