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Dispiace dirlo, ma l’agitarsi confuso delle forze di opposizione rischia di risultare incomprensibile. E non solo agli occhi chi vorrebbe uno svolgimento ordinato della fine della legislatura. Quei passi non sembrano essere in linea con i risultati stessi del referendum. Che hanno visto – questa la sorpresa maggiore – un’affluenza alle urne pari solo al vecchio referendum sulla “scala mobile”. Che sancì la fine dell’egemonia comunista sul mondo del lavoro. E l’inizio di una nuova fase, poi tramontata sull’onda degli scandali e della discesa in campo di “Mani pulite”

La vittoria del No ha avuto motivazioni diverse. Il rifiuto di partecipare a un plebiscito che avrebbe incoronato Matteo Renzi “leader maximo” del Paese. Il rifiuto di una politica economica che, al di là dei proclami, non è riuscita ad archiviare la lunga crisi degli anni precedenti. Quel misto di rabbia e di sofferenza che ha colpito tanta parte di ceto medio, che ha perso posizioni significative nella piramide sociale. Il rifiuto di una globalizzazione “asimmetrica” in cui i relativi vantaggi si sono concentrati in alcune aree periferiche del mondo. La Cina soprattutto. Mentre l’Europa e in parte gli stessi Stati Uniti sono divenuti i Paesi, sempre meno ospitali, di una migrazione senza fine.

C’è stato tutto questo nel voto del 4 dicembre. Ma il risultato finale è stato comunque un ritorno all’antico. Che ha dato nuovo vigore alla vecchia Costituzione del ’48. Quella Prima Repubblica, che da tempo si vorrebbe archiviare, ma che ha dimostrato una resistenza insospettata. Ebbene la Costituzione non è un’icona da portare in processione. Rappresenta l’ordito del nostro vivere quotidiano. Condiziona i diversi poteri dello Stato. Ne delimita compiti e funzioni.

Che senso ha, allora, accusare Paolo Gentiloni di essere il quarto presidente del Consiglio non eletto? Questa critica aveva un senso per chi lo aveva preceduto. Poteva valere per Monti, per Letta o per lo stesso Renzi. Visto che, allora, il leader era preventivamente sottoposto al vaglio dei votanti. La sua successiva nomina era cioè la conseguenza della legge elettorale immediatamente previgente. Ma che la Corte ha poi dichiarato anticostituzionale. Condizioni che ormai appartengono al passato.

Venuta meno questa impalcatura, quale modalità il presidente Mattarella avrebbe dovuto seguire, se non attenersi all’unica legge vigente – la Costituzione – ed alle prassi conseguenti? Procedura seguita con uno scrupolo e una linearità esemplare. Ecco allora l’inevitabile rito delle consultazioni, che ci riporta indietro nel tempo. La scelta di un candidato, su designazione del partito di maggioranza relativo, quindi l’incarico dato a una personalità: non a caso membro della Camera dei deputati e ministro ancora in carica. Seppur dimissionario insieme a tutto il Governo.

Il grido “al lupo al lupo”, che è risuonato in questi giorni, dimostra solo un certo analfabetismo istituzionale, che non lascia tranquilli. Come preoccupa il richiamo all’Aventino: non partecipiamo, usciamo dal Parlamento per stare insieme ai cittadini, e analoghe amenità. Il No ha vinto e con il No, almeno per il momento, è stata archiviata ogni ipotesi di cambiamento costituzionale. Ed è paradossale che i vincitori di quel referendum, oggi, facciano dei passi indietro. Quasi timorosi del successo conseguito. Invece di dire “abbiamo impedito un’avventura”. Muoviamoci allora nel solco della Costituzione, che abbiamo difeso, per andare avanti.

Sergio Mattarella

Sergio Mattarella, Paolo Gentiloni e l'analfabetismo istituzionale degli aventiniani

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