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Oggi sapremo se nella penisola coreana scoppierà la guerra. Le probabilità sono molto basse, gli Stati Uniti non intendono affatto assumersi la responsabilità della devastazione che colpirebbe la Corea del Sud – e le stesse truppe Usa di stanza nel Paese – in caso di conflitto.

Le mosse americane di questi giorni rappresentano piuttosto un avvertimento. Alla Cina, anzitutto: è il solo Paese che possa indurre Kim l’atomico a mutare atteggiamento. Pechino rappresenta la linea vitale per un regime che è isolato internazionalmente ed è da tempo sotto sanzioni.

Il commercio tra Cina e Corea del Nord va a gonfie vele. Se venisse meno questa fonte di valuta estera, Pyongyang resterebbe in mutande. Ecco perché Trump ha ripetuto più volte lo stesso messaggio: la Cina aiuti gli Stati Uniti a risolvere il problema nord coreano, altrimenti ci penseranno gli Usa e i loro alleati. Che non nascondono la propria preoccupazione.

La Corea del Sud è terrorizzata alla prospettiva del fuoco di artiglieria che la colpirebbe implacabilmente in caso di conflitto. Il Giappone, per bocca del suo primo ministro Shinzo Abe, fa sapere di temere che Kim possa usare gli enormi arsenali di armi chimiche contro l’arcipelago.

È una situazione delicata, che potrebbe complicarsi ulteriormente qualora la Corea del Nord oggi, festa nazionale, facesse il sesto test nucleare della sua storia. Sarebbe l’ennesima provocazione, cui gli Stati Uniti non potrebbero non rispondere. Come lo faranno è l’enigma che ci terrà col fiato sospeso nelle prossime 24 ore.

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