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Il suo è un lavoro da quarterback: contrastare disinformazione e bufale su un tema complesso come quello delle migrazioni, sensibilizzare l’opinione pubblica, smarcarsi da minacce e insulti dei troll, sui social. Come? Con i dati, ma non solo: “I numeri da soli non funzionano, ma vanno ripetuti come un mantra”. Parola di Carlotta Sami, spokesperson Unhcr per il Sud Europa, che ha partecipato come relatore all’incontro “La sfida di Unhcr e il ruolo della Comunicazione. Strumenti e strategie”, organizzato la sera del 6 dicembre dal Club Relazioni Esterne. Fare chiarezza sulla terminologia, lavorare sullo sviluppo e la diffusione di storie reali e riportare i dati alla verità sostanziale, questi alcuni degli altri ingredienti della comunicazione dell’agenzia Onu per i rifugiati, spiegati dalla portavoce. Al centro della conversazione fra il consesso di comunicatori e Sami, dunque, i fenomeni migratori e le relative dinamiche mediatiche nell’era della post-verità.

VIAGGIO TRA GLI EQUIVOCI

Fra gli equivoci più comuni, l’utilizzo alterato del termine migranti in luogo di rifugiati, spiega: “Non sono semplici migranti perché si tratta di vere e proprie fughe di massa da paesi in guerra e scappare è l’unica opzione possibile. Inoltre”, continua, “molti credono che i flussi stiano aumentando, quando invece hanno seguito un trend uniforme negli ultimi 10 anni”. Un altro mito da sfatare è quello dell’invasione: “La maggior parte delle migrazioni non avviene da paesi del Sud a quelli del Nord, ma fra nazioni della stessa area geografica e se nel 2015 i flussi hanno riguardato 63,5 milioni di persone, fra sfollati e rifugiati, in Europa è arrivato solo un milione di persone. Se ne è iniziato a parlare in Europa in termini apocalittici, ma la crisi globale ha diversi centri, tutti fuori dal vecchio continente. Il 2015 e il 2016 hanno visto svolgersi circa venti conflitti locali con attori internazionali, che non hanno consolidato un percorso di pacificazione”.

LA STRATEGIA TARGATA UNHCR

Anche lo human interest è al centro della strategia media di Unhcr, la diffusione di storie positive di persone reali, seguibili nel tempo: “Lavoriamo molto sullo sviluppo dei contenuti. Abbiamo raccontato, per esempio, con l’aiuto del team di fotografi e videoeditor, la storia di una famiglia che si è ricongiunta. Madre e figlia erano arrivate a Lampedusa a bordo di una motovedetta, piena di donne e bambini completamente ustionati, a causa di una bomboletta scoppiata a bordo del barcone. Sono state curate, ora stanno bene e si sono riunite al padre, ad Anversa, che aveva fatto richiesta del visto per le due, senza successo, perché non erano sposati. La politica dei visti è diventata difficilissima e il traffico di esseri umani è secondo solo a quello della droga. Poi ci sono storie di accoglienza straordinarie, come la famiglia di ebrei tedeschi che ne ha accolto una di siriani musulmani”.

IL LAVORO MEDIATICO

Ma non vogliono essere pedagogici, precisa Sami, né con l’opinione pubblica, né con i giornalisti. Se prima “l’approccio era sanzionatorio”, oggi con gli operatori dell’informazione si fa un lavoro di èquipe: “Con i giornalisti analizziamo il linguaggio, ci confrontiamo, soprattutto con i media locali e facciamo molto fact-checking, cosa su cui i cronisti si sono molto formati e che sui social media è estremamente utile. L’informazione corretta sui temi dell’immigrazione, peraltro, è garantita dalla Carta di Roma del 2008 e dall’omonima associazione, fondata tre anni dopo da Laura Boldrini”.

Numeri, verità e frottole sui migranti

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