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La reazione alle accuse formulate dal Consigliere capo per il Commercio Usa, Peter Navarro, in una intervista al Financial Time sono state immediate. La Germania profitta dell’euro, anzi ne tiene volutamente basso il valore, questo in sintesi il giudizio di Navarro. Angela Merkel, normalmente molto più cauta nel reagire a provocazioni provenienti dall’estero, questa volta ha fatto invece sapere subito, che la Germania non ha alcun potere di dettare linee alla Bce.

Concetto ribadito anche dal corrispondente da Washington del giornale di stampo liberal Frankfurter Allgemeine Zeitung, il quale ha definito l’affermazione “assurda”, per quanto questa constatazione “non cambia nulla della realtà politica del momento”. Certo, precisa Winand von Petersdorff sulla FAZ, non si può negare che la Germania tragga vantaggio dall’euro debole, ma arrivare a dedurne una manipolazione mirata è assolutamente falso. “Non vi è, infatti, paese che abbia contestato più della Germania la politica lasca del denaro portata avanti dalla Bce”. Detto questo, prosegue Petersdorff, bisogna ora confrontarsi con un’amministrazione americana che tende a vedere complotti ovunque. Un’attitudine che finisce per favorire il protezionismo.

Anche secondo Nikolaus Piper della Süddeutsche Zeitung, l’accusa di Peter Navarro è campata in aria. L’editorialista ricorda però che già l’amministrazione Obama aveva lamentato un corso dell’euro troppo debole e dunque un eccesso di potere commerciale da parte della Germania. E in effetti, scrive Piper, l’euro debole è una delle ragioni principali del surplus di esportazioni tedesche (+8 per cento) e dell’attuale “miracolo economico”. Dal tono e dalle accuse di Navarro emergerebbero però alcuni aspetti interessanti, da tener presente in futuro: “Bisogna concentrarsi sul tono aggressivo dell’intervista e sul punto principale della stessa, cioè il valore del cambio. Da una parte la politica dell’euro a basso costo è innanzitutto conseguenza della politica monetaria della Bce, una politica sulla quale il governo federale tedesco non ha alcuna influenza. Dall’altra però, ‘la manipolazione del cambio’ gioca un ruolo preminente nella giurisprudenza commerciale americana. Un paese che viene accusato ufficialmente di manipolarlo, deve aspettarsi sanzioni, per esempio dazi punitivi. Fino a ora toccava alla Cina il ruolo di pecora nera, adesso è la volta della Germania”. Il quotidiano economico Handelsblatt cerca invece un aspetto positivo in questo futuro dalle tante incognite e titola: “Trump fa avvicinare nuovamente la Germania e la Cina”. Un fattore per niente secondario, visto anche in prospettiva del G-20 presieduto in giugno dalla Germania.

Per nulla fiduciosi, anzi foschi e angosciati suonano invece gli analisti consultati in un sondaggio per la Frankfurter Allgemeine am Sonntag (il domenicale della FAZ). Secondo gli stessi, la politica di chiusura del neo installato presidente Usa Donald Trump rischia di costare in Germania 1,6 milioni di posti di lavoro, soprattutto in quei settori molto rivolti all’export. Come riporta il sito online del settimanale Die Zeit, secondo Marcel Fratzscher, direttore del centro studi economici DIW: “Per quanto possa suonare allarmante, il dato è che ci confrontiamo con la minaccia di una guerra commerciale ed economica con gli Usa. E se veramente Trump farà sul serio, ciò avrà effetti negativi sul benessere globale”. Secondo Clemens Fuest, il direttore di Ifo, istituto di ricerche economiche di stampa conservatore, “è sopratutto per la Germania a prospettarsi uno scenario da incubo”. È l’Ifo che ha calcolato i possibili danni sul mercato del lavoro in 1,6 milioni di posti a rischio. Di questi 1 milione riguarderebbero l’industria delle esportazioni, altri 600 mila, tra i dipendenti di imprese americane con filiali in Germania. Infine, Dennis Snower, direttore dell’Istituto di ricerche economiche di Kiel, avanza il paragone con il periodo tra le due guerre mondiali: allora, ricorda, le guerre commerciali misero in ginocchio l’economia mondiale e portarono a fatali sviluppi politici. “Tutti hanno imparato da quella lezione. Tutti, eccetto uno, Donald Trump. Oggi viviamo in un tempo che mette di nuovo in discussione l’ordine mondiale liberale”.

E preoccupati si mostrano anche i tedeschi. Secondo un sondaggio dell’istituto Forsa, commissionato dal settimanale Stern il 63 per cento degli interrogati teme che la politica del nuovo presidente americano possa riflettersi negativamente anche sul loro standard di vita. Alla domanda come difendersi dunque, l’88 per cento si è però detto contrario alla logica dell’occhio per occhio, cioè all’introduzione a sua volta di barriere e dazi doganali. La Germania deve invece continuare a intrattenere rapporti commerciali con più paesi possibili.

Foto: European People’s Party/Flickr

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