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Dalle politiche del 2013, passando per le europee del 2014, il referendum sulla Brexit e l’elezione di Trump, i sondaggi ultimamente si sbagliano. Allora, anche per chi legge le “corse clandestine” – i sondaggi diffusi durante il periodo di divieto – forse è utile provare a valutare i voti in termini assoluti e non in percentuale. Ci sono diversi termini di paragone, nessuno esatto e nessuno perfetto, ma ciascuno con elementi che rivelarsi utili.

Per esempio. Il referendum sulle “trivelle” oltre le 12 miglia dalle coste di questo 2016 ha visto 12.822.908 voti a favore. Ora, il carattere ambientalista della consultazione ha certamente corroborato il fronte dei “contrari al governo”. Ma, certo, questa potrebbe essere una base quantomeno temporalmente recente, se non attuale, di partenza per valutare numericamente il fronte del No.

Più difficile, invece, paragonare le consultazioni politiche. Nel 2013 votarono 35 milioni di cittadini (75 per cento). La somma delle forze a favore del Sì (Pd + area centrista + Ncd) raggiunge 11,3 milioni di voti. La somma delle forze del No (Forza Italia + Lega + Grillo + altri) arriva a 19,3 milioni: 8 milioni di differenza. Tanti.
In tal caso, anche se la metà dei consensi (3,5 milioni) dell’attuale Forza Italia dell’allora Pdl (7.332.134) votasse Si – l’area Mediaset-Confaloneri, diciamo – il fronte del No con 15.889.655 milioni netti di voti, manterrebbe comunque, un vantaggio sui 14.5 milioni del fronte del Sì.

Ma, certo, alle “politiche” l’affluenza è sempre più elevata. Alle europee del 2014, per esempio, i votanti furono 28,9 milioni (58,64 per cento). Il Pd conquistò 11,1 milioni di voti; Ncd-Udc 1,2 milioni, che sommati ai partiti minori fanno 12,7 milioni di voti a favore del Sì. L’ipotetico fronte del No, invece, raggiunge 14,1 milioni di voti (4,6 mln Forza Italia, 1,6 mln Lega, 1 mln Fratelli d’Italia, 1,1 mln lista Tsipras, 5,8 mln 5 Stelle). Una differenza di 3 milioni che potrebbe invertirsi se solo un terzo degli elettori di Berlusconi votasse “a favore”.

Da quest’ultimo dato si evince anche la tanta attenzione da parte di Renzi all’elettorato moderato. Dovrebbe, inoltre, essere una parte di quello che votò a favore della riforma nel 2006, quando l’affluenza fu di 26.11.925 elettori (52,46 per cento) e il Si totalizzo poco meno di 10 milioni, a fronte dei 15,7 No. Quella consultazione è paragonabile a questa, oltre che per l’assenza di quorum, anche per il voto degli italiani all’estero. Allora furono veramente pochi: 739 mila (27,8 per cento) e si divisero equamente tra favorevoli e contrari, sulla stessa linea di quanto successe per il referendum delle “trivelle” (779 mila votati).

Ma, da allora, il corpo elettorale è aumentato, passando da 2,6 milioni a 3,5. Alle ultime politiche furono 1,1 milioni. E se davvero, con tutta la campagna oltreconfine del governo, Renzi riuscisse a ottenere almeno 1,5 milioni di voti, certo avrebbe uno strumento in più per colmare il gap che deriva dall’avere “tutti contro”. A quel punto, basterebbe un poco del voto trasversale di molti “moderati”.

Certo, dipenderà dall’affluenza, dalla fedeltà degli elettori, di quelli che cambiano idea, ma se in voti assoluti sembra che il Sì non abbia speranza, ad uno scorporo più attento – ma certo parziale e un poco approssimativo – può darsi che lo scarto venga ridotto. O annullato. Verificheremo a breve. Buon week end….

Matteo Renzi

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