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Il primo taglio alla produzione di petrolio deciso dall’Opec negli ultimi otto anni. L’accordo è stato raggiunto ieri a Vienna e non appena si è capito che era ormai a portata di mano, i prezzi del petrolio si sono impennati. Così il Wti è salito del 9,8% a 49,65 dollari al barile, il Brent dell’8,5% a 50,32 dollari.

GLI EFFETTI DELL’ACCORDO

Dopo tanti incontri dell’Opec conclusi senza successo, Paul Mumford, analista di Cavendish Asset Management, si è detto soddisfatto della decisione del Cartello di tagliare la produzione, sottolineando però che i prezzi dovrebbero stabilizzarsi dopo l’impennata di ieri. Mentre Angelo Meda, responsabile azionario di Banor sim, ha osservato che l’intesa «dovrebbe mettere un pavimento al prezzo del petrolio sull’area 45/50 dollari, mentre i movimenti al rialzo saranno ora determinati dalla produzione Usa di shale oil, che sta già risalendo, e dall’effettivo grado di compliance dell’Opec, visto che in passato ci sono stati in passato annunci di tagli che poi nella realtà non sono stati implementati».

COSA SUCCEDE ALLE SCORTE

Non tutti sono però convinti che il taglio annunciato ieri sia sufficiente a riportare l’equilibrio nella volatilità dei prezzi del greggio. Secondo gli esperti di Stephens la matematica suggerisce che sia in corso uno squilibrio ed è probabile che persista anche nel 2017». Inoltre ci vorrà un lungo periodo di bassa produzione per sgonfiare le riserve di greggio. «Per normalizzare le scorte alla loro media degli ultimi dieci anni», secondo Stephens, «l’offerta dovrebbe viaggiare, per circa un anno e mezzo, a 1 milione di barili al giorno al di sotto della domanda».

CHE COSA PREVEDE L’INTESA

I Paesi dell’Opec hanno dunque deciso una taglio congiunto della produzione pari a 1,2 milioni di barili al giorno, che porterà il tetto produttivo complessivo a 32,5 milioni di barili al giorno. A venire ritirati dal mercato saranno però in totale 1,8 milioni di barili al giorno in quanto, ha dichiarato il presidente dell’Opec, nonché ministro del Petrolio del Qatar, Mohammed Bin Saleh Al-Sada, alcuni grandi produttori esterni all’Opec hanno accettato di effettuare una riduzione complessiva di 600 mila barili al giorno, 300 mila dei quali a carico della Russia. Sono esentati dall’iniziativa la Libia, la Nigeria e l’Iran. I due grandi rivali, Teheran e Riad, sono quindi riusciti a giungere a un compromesso.
LE CONCESSIONI ALL’IRAN 

All’Iran, che aveva chiesto di essere esentato dal taglio generale in virtù degli effetti disastrosi che le sanzioni occidentali avevano prodotto sull’economia del Paese, è stato concesso di incrementare la produzione di petrolio fino a 3,975 milioni di barili al giorno, mentre l’Arabia Saudita si è fatta carico di quasi la metà del taglio totale. con una riduzione di 486 mila barili al giorno. L’Iraq, che inizialmente aveva cercato di tirarsi indietro, effettuerà invece un taglio da 210 mila barili al giorno, portando l’output a 4,35 milioni di barili al giorno.

COSA HA COMBINATO L’ARABIA

L’accordo raggiunto ieri segna nell’immediato una vittoria dell’Arabia Saudita, che da tempo voleva un taglio alla produzione. Ma in realtà è il segnale della sconfitta della sua strategia iniziata con il vertice Opec del 27 novembre 2014, quando Riad riuscì a far prevalere la decisione di mantenere la produzione invariata nonostante il forte aumento dell’offerta globale legato al boom dello shale oil nordamericano.

IL FALLIMENTO DELLA STRATEGIA SAUDITA

L’obiettivo saudita era proprio far crollare i prezzi per non perdere quote di mercato a favore dei produttori di idrocarburi non convenzionali di Usa e Canada che, sulla carta, avrebbero dovuto finire per cedere alla luce dei costi di produzione molto più elevati rispetto ai Paesi del Golfo. I produttori di shale oil mostrarono però un’efficienza e una resistenza imprevedibili al tonfo dei prezzi, scesi dai 70 dollari al barile di fine 2014 ai 26-27 dollari al barile dello scorso gennaio. Fallito l’obiettivo di mandare fuori mercato i concorrenti Usa, Riad è dovuta tornare alla tradizionale politica dei tagli alla produzione per mantenere i prezzi alti.

(Articolo pubblicato su MF/Milano Finanza, quotidiano diretto da Pierluigi Magnaschi)

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