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La pace è un processo che deve compiersi nella testa degli uomini e dunque ha tempi lenti, tuttavia il governo colombiano non se n’è lasciato imbrigliare e con un ulteriore impulso ha presentato al Congresso i nuovi accordi ottenuti con la guerriglia delle Farc affinché quanto prima vengano ratificati. Tornare indietro, ora, è impossibile. Costituirebbe una violazione dell’ordine costituzionale e nell’immediato nessuna forza politica se la può permettere. Il prezzo dell’iniziativa è uno scontro con il partito dell’ex presidente Alvaro Uribe, trincerato su posizioni revansciste, e con la parte più conservatrice dell’opinione pubblica che lo segue. Ma salva il paese dalla catastrofe di una ripresa ancor più feroce della guerra che lo dilania da quasi 70 anni.

La prima intesa sottoscritta due mesi e mezzo addietro all’Avana, era stata bocciata per 50mila voti di differenza nel referendum popolare al quale avevano partecipato oltre 14 milioni di colombiani. Nazioni Unite, Norvegia e Cuba che avevano promosso e finanziato le trattative durate 4 anni, Papa Francesco, il presidente Obama, l’Unione Europea e tutti i paesi sudamericani che le avevano incoraggiate e sostenute erano stati colti di sorpresa. Contro i pronostici, gli interessi del latifondo timoroso delle pur limitate riforme agraria e fiscale incluse negli accordi, il dogmatismo delle influenti chiese evangeliche vincolate allo spirito di vendetta (“occhio per occhio…”), il cieco tradizionalismo di parte della gerarchia cattolica, si erano sommati alle ambizioni di Alvaro Uribe e del suo partito superando d’un soffio i pacifisti.

Il più sorpreso è stato il presidente Juan Manuel Santos, che contava su una decisa approvazione popolare per superare anche politicamente la rivalità con Uribe, al quale si è invece aggiunto l’ex presidente Andrés Pastrana, sia pure su posizioni meno intransigenti. Ma ormai la minaccia di riprecipitare nella violenza generalizzata era ben più d’un rischio. Negli ultimi giorni esercito e guerriglieri erano tornati a fronteggiarsi con le armi in pugno e in uno scambio a fuoco erano morti due ufficiali delle Farc. Il prestigioso quotidiano di Bogota El Espectador, nel dare notizia dell’uccisione di tre dirigenti della sinistra, scrive che quelli assassinati quest’anno sommano a 70 e altri 279 hanno ricevuto reiterate minacce di morte. Santos ha compreso che oltre a rappresentare un tradimento al premio Nobel per la pace appena ricevuto, perdere l’iniziativa lo avrebbe portato a un’irrimediabile sconfitta.

Si è affidato alla Costituzione, che all’articolo 3 fa obbligo al governo di “presentare comunque gli atti di politica pubblica” al vaglio del Congresso. E gli accordi di pace sono un atto di politica pubblica. Dunque nessun’altra consultazione popolare, come avrebbero preteso gli oppositori. Santos conta su una maggioranza trasversale riunita in un fronte di partiti favorevoli alla la pace che dovrebbe ratificare la nuova intesa ben prima di fine anno. “Lavoreremo giorno e notte, se necessario”, ha promesso il presidente del Senato, Mauricio Lescano, eletto nella medesima circoscrizione di Uribe e suo diretto concorrente. L’impegno ufficiale è di discutere e varare in sei-sette mesi tutti i decreti attuativi necessari a rendere operativi gli accordi entro giugno 2017. Per il governo la battaglia congressuale si presenta dura ma superabile.

Il dibattito dovrà fissare definitivamente i termini del risarcimento alle vittime della guerra, alle famiglie dei caduti e agli oltre 4 milioni di profughi costretti a fuggire dai loro luoghi di residenza investiti dai combattimenti e dalle vendette tanto dell’esercito quanto della guerriglia. Disegnare le nuove misure fiscali (imposte sul reddito, sulle proprietà e Iva) destinate anche a finanziare quei risarcimenti. Precisare i limiti dell’amnistia per i reati compiuti non solo dai guerriglieri delle Farc, ma anche da militari dell’esercito regolare e dalle bande armate dei latifondisti e dei grandi allevatori. Dai termini dell’amnistia dipenderà anche il margine di libertà d’intervento in politica per tutti coloro che vorranno entrarvi. Non sarà una corsa in discesa. Il governo ha però una maggioranza precostituita e l’ampiezza della materia gli lascia buoni spazi negoziali.

Le difficoltà maggiori restano fuori del Congresso, in una società non abbastanza integrata nella quale contrasti storici devono essere risolti o quanto meno resi compatibili con le istituzioni, in un paese tanto vasto quanto impervio e quasi impossibile da controllare interamente. Le possibilità per i malintenzionati di ordire intrighi e provocazioni sono numerose. Ed è ragionevole attendersi che non mancheranno episodi peggio che gravi. Ottenuta una pace senza la quale qualsiasi sviluppo, qualsiasi progresso poggerebbero sulle sabbie mobili e sarebbero quindi men che precari, con ogni probabilità effimeri, l’opera fondamentale da compiere è portarla nel cuore di ciascun colombiano. L’augurio è che tutti lo comprendano e se ne facciano partecipi. Stupenda ma avvelenata dai pericoli, finalmente la Colombia si aprirebbe loro come una Nuova Atlantide, una terra che liberata dall’angoscia può sognare la felicità.

www.ildiavolononmuoremai.it

La pace in Colombia salta il guado

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