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È ormai partita la corsa contro il tempo per evitare che la Popolare di Vicenza e Veneto banca finiscano in risoluzione con le regole del “bail-in” in vigore da gennaio del 2016.

PIÙ TEMPO PER I RIMBORSI

In quest’ottica, è appena stato deciso di prolungare fino al 22 marzo il periodo per aderire alle offerte di mini-rimborso rivolte agli azionisti delle due banche venete, che sono stati praticamente azzerati con gli aumenti di capitale del 2016 che hanno permesso al fondo Atlante di salire al controllo quasi totale di ciascuno dei due istituti. Le offerte di mini-rimborso avrebbero sino a oggi raccolto scarse adesioni, cosa che ha spinto le due banche a cercare più tempo. Il fatto è che se le adesioni non raggiungono l’80% (ma c’è chi sostiene che ci si possa accontentare anche di una percentuale un po’ inferiore) le due venete difficilmente riusciranno a disinnescare la mina delle cause legale (promosse dagli stessi azionisti e collegate alle vecchie gestioni) che nel caso più estremo potrebbero arrivare a valere 5 miliardi di euro, vale a dire quanto gli aumenti di capitale di nuovo indispensabili per la sopravvivenza delle due banche. Va da sé che per le due banche, se questo scenario dovesse concretizzarsi, scatterebbe la messa in risoluzione con le regole del bail-in.

IL BAIL-IN APPLICATO ALLE VENETE

Attenzione però: si fa strada l’idea che in questo caso – a differenza che per Mps dove si sta cercando di attuare la cosiddetta ricapitalizzazione precauzionale per consentire l’intervento pubblico – il bail-in sarebbe quello classico, in cui a partecipare alle perdite sarebbero, nell’ordine, azionisti, obbligazionisti (quindi non solo quelli subordinati) e correntisti che abbiano sui conti più di 100 mila euro. E questo perché, data la situazione e soprattutto nel caso in cui l’offerta sulle azioni dovesse essere un flop, c’è il rischio che le due banche venete non possano essere etichettate come “solvibili”, condizione necessaria perché scatti la ricapitalizzazione precauzionale. In più, non è pacifico che nel caso di Popolare di Vicenza e Veneto Banca si possa paventare un rischio di sistema come per il Monte dei Paschi di Siena (che in ogni caso, prima della crisi totale, era pur sempre la terza banca italiana).

IL NODO DELLA BCE

“Ad oggi – scrive Fabrizio Massaro sul Corriere della Sera – la prospettiva è quella che la Bce non ammetta l’eccezione dell’aiuto di Stato, portando le banche alla risoluzione”. Se invece questa eccezione dovesse essere ammessa, l’intervento pubblico potrebbe aggirarsi sui 2,5 miliardi. “La situazione migliore – scrive sempre Massaro – sarebbe un intervento pubblico che non metta in minoranza il fondo Atlante. L’aumento di capitale privato è stimato in circa 4,7 miliardi, compresa la conversione di 1,2 miliardi di bond subordinati, e di esso Atlante ha già anticipato 1 miliardo; lo Stato dunque dovrebbe mettere 2,5 miliardi, rimanendo così sotto il 50 per cento”. Si riuscirà ad attuare questo schema? Non sembra per nulla semplice. A complicare le cose c’è anche il fatto che la Bce, vale a dire l’autorità di vigilanza europea, ha chiesto che le due venete, che stanno studiando una fusione, presentino i due piani industriali separatamente. Virtualmente questo potrebbe significare che un istituto potrebbe essere messo in risoluzione e l’altro no, cosa che di certo non faciliterebbe le cose. La speranza, al momento, resta quella di dare una sterzata alle adesioni all’offerta di mini-rimborso. Per riuscirci, alcune filiali resteranno aperte anche di sabato. Viceversa, per le due venete sarebbero guai.

Popolare di Vicenza e Veneto Banca, cosa si rischia con il bail-in

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