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Le prospettive per l’attività bancaria si inquadrano in un contesto ancora molto delicato, con diversi fattori di incertezza legati all’intensità della ripresa economica ma anche alla risoluzione di alcuni nodi che penalizzano il settore bancario. Nel prossimo triennio la crescita del credito rimarrà contenuta e le politiche di funding potranno contare sull’orientamento espansivo della Banca centrale. Tuttavia, in presenza di tassi di mercato a breve che prevediamo negativi sino alla metà del 2019, i margini unitari delle banche rimarranno compressi dalle pressioni concorrenziali oggi ancora rilevanti sui prestiti e dalla difficoltà di estrarre redditività dai depositi come in passato. Per questi motivi la redditività tradizionale dell’attività di intermediazione delle banche non recupererà i livelli pre-crisi (Fig. 1).

Le banche continueranno così a privilegiare strategie volte ad aumentare i ricavi da servizi, che forniranno ancora un contributo importante, anche se la ricomposizione dei ricavi verso questa componente sarà più lenta rispetto agli ultimi anni. Nell’operatività con le famiglie, perché, anche con politiche di offerta stabilmente orientate alla gestione del risparmio, il bacino di raccolta amministrata cui attingere si è ampiamente ridotto: a tendere, quando progressivamente le politiche non convenzionali della Bce verranno meno, le banche avranno più bisogno di raccolta diretta a medio e lungo termine. Nell’operatività con le imprese, perché è ancora difficile scalfire la centralità del credito a favore di servizi ad alto contenuto consulenziale.

La redditività del settore, molto bassa nel 2016, si rafforzerà nel triennio successivo, grazie anche al controllo dei costi e alla riduzione delle rettifiche su crediti, che tuttavia resteranno elevate(Fig. 2). Il Roe si fermerà intorno al 4% nel 2019 (Fig. 2).

Fig. 1: margini tradizionali delle banche – numeri indice 2007=100
Fig. 2: rettifiche su crediti – numeri indice 2007=100

Fonte: Previsione dei Bilanci Bancari, Prometeia ottobre 2016

Cosa potrebbero fare le banche per ripristinare livelli di redditività sostenibili? I nodi da sciogliere, certo non senza costi, sono soprattutto due.

La gestione dello stock di crediti deteriorati è indubbiamente quello più urgente, sotto la lente dei mercati e delle autorità di vigilanza, a maggior ragione in seguito alle recenti linee guida diramate dal Single Supervisory Mechanism (SSM) che richiedono alle banche strategie specifiche di gestione e riduzione di tali asset in un periodo definito. Le nostre previsioni già incorporano un piano di cessione di sofferenze lorde per circa 100 miliardi di euro da realizzarsi entro il 2019. Le cessioni ridurranno in modo significativo gli stock di sofferenze, che altrimenti continuerebbero a crescere per lo scivolamento degli altri deteriorati, oggi di ammontare ancora rilevante, verso gli stadi peggiori e il flusso di nuove sofferenze, sebbene in riduzione con il miglioramento del ciclo economico. Ma condizioneranno anche le rettifiche su crediti, con impatto importante sui conti economici, soprattutto nel biennio 2016-17, tanto più elevato quanto più ampio sarà il differenziale tra il prezzo di cessione e il loro valore contabile. Le azioni messe in atto potrebbero essere più marcate rispetto a quanto ipotizzato (con costi nel breve termine più elevati) e concentrarsi maggiormente sulla gestione dei crediti deteriorati prima che abbiano raggiunto lo stadio peggiore. Sforzi da parte delle banche per aumentare i tassi di recupero del credito anomalo (Cure Rate delle inadempienze probabili), anche attraverso il coinvolgimento di un maggiore numero di risorse da specializzare in questa attività, potrebbero ridurre ulteriormente l’NPL ratio di settore.

L’altro nodo da sciogliere è quello della riduzione del cost-to-serve e il cambiamento del modello di servizio.

Tra il 2016 e il 2019 i driver principali dei costi resteranno gli interventi strutturali di riduzione del numero di dipendenti (circa 18 mila) e di filiali (circa 4 mila). Tuttavia la razionalizzazione ipotizzata potrebbe non essere ancora sufficiente. Prima della crisi il nostro sistema bancario aveva aumentato la propria capillarità (misurata come abitanti per sportello), distaccandosi da quanto osservato in media in altri paesi e ha sperimentato negli ultimi anni una correzione meno accentuata che altrove. Pertanto è verosimile che le strategie di razionalizzazione della rete fisica saranno ancora particolarmente incisive, benché il processo potrebbe richiedere diversi anni, anche per la bassa propensione all’utilizzo dei canali virtuali in Italia, segnalata dal minor ricorso ai servizi bancari on line e agli acquisti sul web rispetto al resto d’Europa. La riduzione del costo del servizio di intermediazione erogato alla clientela (cost-to-serve) richiederà il completamento dell’informatizzazione dei processi di back office delle banche, ancora troppo ingessati dall’utilizzo di carta e da passaggi farraginosi tra funzioni diverse. Per questo saranno fondamentali ulteriori investimenti, per i quali la dimensione dell’operatore è rilevante per il raggiungimento di maggiori economie di scala.

Anche per questi motivi si rafforza l’esigenza di consolidamento del settore attraverso una nuova ondata di M&A che, al netto della recente fusione Banco Popolare-Bpm, stenta a partire.

La razionalizzazione della struttura porterebbe il sistema bancario italiano a migliorare nel 2019 l’incidenza dei costi sul prodotto bancario lordo [2] (da 1.38 a 1.30), rimanendo tuttavia lontani dalla media continentale. Un semplice esercizio di convergenza verso il benchmark europeo richiederebbe alle banche nazionali, in aggiunta alle uscite già ipotizzate, una riduzione di 32mila dipendenti e la chiusura di altri 8mila sportelli. A parità di tutte le altre condizioni, i risparmi di costi generati comporterebbero un aumento di Roe di settore nell’ordine di 1 punto percentuale: il miglioramento della redditività del capitale non potrà quindi passare dalla sola riduzione dei costi operativi. Per tornare a un Roe vicino all’8%, a parità di scenario e in assenza di azioni di natura diversa (ad esempio sui ricavi o sul costo del rischio), i costi operativi dovrebbero ridursi di un altro terzo rispetto a quanto effettivamente previsto per il 2019.

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Di Roberto Goracci e Rita Romeo

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