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Con una lettera inviata ai vescovi della regione di Buenos Aires, il Papa ha risolto una delle questioni più controverse e dibattute dell’ultimo biennio sinodale, e cioè la possibilità che i divorziati risposati civilmente possano accedere alla comunione. Il Sinodo ordinario dello scorso autunno aveva aperto più di una porta, come risultava chiaro sia dal documento finale sia dall’esortazione Amoris laetitia, promulgata nei mesi scorsi.

LA QUESTIONE PIU’ DELICATA

Era proprio questo il tema su cui più si erano accapigliati, tra l’ottobre del 2014 e l’ottobre del 2015, i padri riuniti nell’Aula Nuova in Vaticano. Una spaccatura acclarata anche dall’esito delle varie votazioni interne, che sui paragrafi controversi avevano consegnato una maggioranza qualificata assai risicata.

I SEGNALI DI FRANCESCO

Teologi, vescovi ed esperti della materia, però, avevano discusso a lungo sul fatto che Amoris laetitia prevedesse in maniera esplicita (o meno) tale possibilità. Il Papa un primo segnale lo aveva dato ad aprile, quando rispondendo alle domande dei giornalisti, si limitò a un “penso di sì”, rimandando però ogni considerazione alla relazione che nel frattempo il cardinale austriaco Christoph Schönborn aveva tenuto illustrando alla stampa l’esortazione.

LA LETTERA SPEDITA A BUENOS AIRES

Dei giorni scorsi, il timbro ufficiale giunto direttamente dal Pontefice. “ll testo è molto buono ed esplicita in modo eccellente il capitolo VIII di Amoris laetitia. Non c’è altra interpretazione. E sono sicuro che farà molto bene”. Firmato, Francesco. E’ questa la sintetica ma chiarissima risposta che il Papa ha inviato ai vescovi argentini, che a inizio mese avevano fornito al proprio clero le linee interpretative dell’esortazione. Linee aperturiste, fino al punto dal sostenere che l’assoluzione e la comunione potevano essere accordate anche quando le coppie non fossero riuscite a vivere in continenza sessuale, cioè come fratello e sorella.

DUBBI E FRAINTENDIMENTI

Principio, quest’ultimo, tutt’altro che chiaro, stando almeno a quanto asserito da diversi esperti del settore, docenti di morale familiare, laici o religiosi che siano. Lo stesso cardinale Carlo Caffarra, arcivescovo emerito di Bologna e primo preside dell’Istituto Giovanni Paolo II per studi su matrimonio e famiglia, lo scorso luglio in un’intervista concessa al blog OnePeter5 aveva illustrato tutti i motivi di perplessità sul testo, auspicando altresì che il Papa chiarisse diversi punti – tutti riferibili al capitolo VIII – capaci di creare confusione.

UNA LINEA GIÀ CHIARA

A ogni modo, Francesco, con la lettera ai vescovi della regione di Buenos Aires, non ha fatto altro che confermare quanto già risultava chiaro non tanto dalla relazione finale del Sinodo dell’ottobre del 2015, bensì dai toni usati nel suo discorso conclusivo, dove si affermava che con quel cammino biennale si avevano “spogliato i cuori chiusi che spesso si nascondono perfino dietro gli insegnamenti della chiesa o dietro le buone intenzioni, per sedersi sulla cattedra di Mosè e giudicare, qualche volta con superiorità e superficialità, i casi difficili e le famiglie ferite”.

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