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Una delle massime più ricorrenti circa la geopolitica del presente pontificato aveva a che fare con la poca propensione del Papa a muoversi in Europa, il vecchio centro del mondo e cuore della cristianità, se non altro per retaggio culturale e storico. Pochi viaggi qui, uscite di mezza giornata, visite centellinate. Tutt’altro registro rispetto alle spedizioni oltreoceano e soprattutto verso quelle periferie esistenziali e geografiche che Bergoglio tanto ama e tanto richiama ogni qualvolta c’è da porre l’uomo (e non solo il fedele) dinanzi alla realtà. Dopotutto, diceva parlando ai Superiori generali delle comunità religiose, “i grandi cambiamenti della storia si sono realizzati quando la realtà è stata vista non dal centro, ma dalle periferie. Si comprende la realtà solamente se la si guarda dalla periferia, e non se il nostro sguardo è posto in un centro equidistante da tutto”.

LE PERIFERIE DEL CONTINENTE

Francesco in Europa ha toccato le estreme periferie: Lampedusa, Lesbo, la Svezia, l’Albania. E poi il Caucaso, la Turchia. Nessuna tappa nelle grandi capitali o in quei luoghi simbolici che rimandano con la memoria al retaggio storico. Una scelta, una chiara volontà di entrare quasi dal retro, a piccoli passi.

“VERRA’ L’OCCASIONE DI PARLARNE”

Poco meno di un anno dopo l’elezione, il 5 marzo del 2014, Francesco fu intervistato dal Corriere della Sera. Ferruccio de Bortoli, allora direttore, gli chiese: “Perché Santo Padre non parla mai d’Europa? Che cosa non la convince del disegno europeo?”. La risposta fu semplice quanto disarmante per chi s’era immaginato chissà che: “Lei ricorda il giorno in cui ho parlato dell’Asia? Che cosa ho detto? (qui il cronista si avventura in qualche spiegazione raccogliendo vaghi ricordi per poi accorgersi di essere caduto in un simpatico trabocchetto). Io non ho parlato né dell’Asia, né dell’Africa, né dell’Europa. Solo dell’America latina quando sono stato in Brasile e quando ho dovuto ricevere la Commissione per l’America Latina. Non c’è stata ancora l’occasione di parlare d’Europa. Verrà”.

IL VIAGGIO LAMPO A STRASBURGO

E il momento è venuto in quell’autunno stesso, quando Francesco si recò a Strasburgo per visitare prima il Parlamento europeo e poi il Consiglio d’Europa. Tenne due discorsi che fornivano una disamina severa e fortemente critica sullo stato del vecchio continente. Nell’emiciclo del Parlamento, il Papa disse che “è giunta l’ora di costruire insieme l’Europa che ruota non intorno all’economia, ma intorno alla sacralità della persona umana, dei valori inalienabili; l’Europa che – aggiunse – abbraccia con coraggio il suo passato e guarda con fiducia il futuro per vivere pienamente e con speranza il suo presente. E’ giunto il momento di abbandonare l’idea di un’Europa impaurita e piegata su se stessa per suscitare e promuovere l’Europa protagonista, portatrice di scienza, di arte, di musica, di valori umani e anche di fede. L’Europa che contempla il cielo e persegue degli ideali; l’Europa che guarda e difende e tutela l’uomo; l’Europa che cammina sulla terra sicura e salda, prezioso punto di riferimento per tutta l’umanità!”.

IL DISEGNO COMUNITARIO IN CRISI

E’ qui che il Papa sottolineò l’assopimento del sogno comunitario: “Da più parti si ricava un’impressione generale di stanchezza e di invecchiamento, di un’Europa nonna e non più fertile e vivace. Per cui i grandi ideali che hanno ispirato l’Europa sembrano aver perso forza attrattiva, in favore dei tecnicismi burocratici delle sue istituzioni”.

LE DOMANDE AL CONSIGLIO D’EUROPA

Davanti ai membri del Consiglio d’Europa, il Pontefice disse: “All’Europa possiamo domandare: dov’è il tuo vigore? Dov’è quella tensione ideale che ha animato e reso grande la tua storia? Dov’è il tuo spirito di intraprendenza curiosa? Dov’è la tua sete di verità, che hai finora comunicato al mondo con passione? Dalla risposta a queste domande dipenderà il futuro del continente”.

IL DISCORSO CHIAVE PER IL PREMIO CARLO MAGNO

Ma il discorso più significativo riguardo la visione di Francesco riguardo il vecchio continente è quello pronunciato il 6 maggio scorso in Vaticano, ricevendo il Premio Carlo Magno. Discorso significativo non tanto per la lunghezza, quanto per le parole con cui il Papa ha sferzato la leadership continentale (molti esponenti della quale erano in prima fila a udire il discorso di Bergoglio). “Che cosa ti è successo, Europa umanistica, paladina dei diritti dell’uomo, della democrazia e della libertà? Che cosa ti è successo, Europa terra di poeti, filosofi, artisti, musicisti, letterati? Che cosa ti è successo, Europa madre di popoli e nazioni, madre di grandi uomini e donne che hanno saputo difendere e dare la vita per la dignità dei loro fratelli?”.

I PADRI FONDATORI CHE NON CI SONO PIU’

Il Papa andò a recuperare il pantheon dei Padri fondatori, che “seppero cercare strade alternative, innovative in un contesto segnato dalle ferite della guerra. Essi ebbero l’audacia non solo di sognare l’idea di Europa, ma osarono trasformare radicalmente i modelli che provocavano soltanto violenza e distruzione. Osarono cercare soluzioni multilaterali ai problemi che poco a poco diventavano comuni”. Il richiamo a Schuman, De Gasperi e Adenauer è una costante nei riferimenti europei di Francesco. Solo poche settimane fa, in un’intervista al periodico belga Tertio, il Papa osservava che proprio la mancanza di leadership adeguata è alla radice degli attuali problemi: “Quel Mai più la guerra! credo che è una cosa che l’Europa ha detto sinceramente, l’ha detto sinceramente: Schumann, De Gasperi, Adenauer… lo dissero sinceramente. Ma dopo… Al giorno d’oggi mancano leader. All’Europa ha bisogno di leader, leader che vadano avanti”.

Come Papa Francesco guarda all'Europa "senza leader"

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