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Le previsioni economiche non sono una scienza esatta. I modelli econometrici spesso producono risultati simili o con bassa dispersione perché costruiti in modo simile. Ciò premesso, quello che servirebbe guardare è magnitudine e direzione della previsione. E se, in questa sede, quello che si ottiene è che un paese cresce meno degli altri, significa che è piuttosto probabile che quel paese abbia un problema. Di solito, questo è quanto accade all’Italia, e questo giro di previsioni conferma l’antica regola. A cui si aggiunge una probabile richiesta da parte della Commissione Ue di una mini correzione, più di facciata che sostanziale. Sarebbe quindi opportuno cercare di capire perché, dopo tre anni di vigoroso riformismo renziano, restiamo in questa condizione. Voi che dite?

Partendo dalla premessa che il deficit non è male in sé, è discretamente evidente che serve deficit di qualità, e non mance. Quando si sono buttati nello sciacquone tre anni ed alcune decine di miliardi in mance di ogni tipo, difficile attendersi esiti differenti. Poi, potete prendervela con la Ue e con i suoi “ragionieri”, ma sareste degli sprovveduti o in pura malafede.

Per fortuna che Pier Carlo Padoan c’è: lui e le sue spiegazioni. Dove la tesi diventa antitesi nel giro di poche settimane: è la deflazione, o anche no, visto che il deflatore italiano del Pil cresce in modo sensibilmente superiore all’indice dei prezzi al consumo (lo sapeva, ministro?). Serve flessibilità, abbiamo fatto le riforme strutturali: tipo il Jobs Act, che ha anticipato le assunzioni di un anno, prendendo a prestito dal futuro, e non ha ridotto il costo del lavoro in modo strutturale ma solo temporaneo. E intanto i voucher impazzano, e non trovi nessuno disposto ad ammettere quello che è sotto gli occhi di tutti: il sistema costa troppo, il “mercato” si adatta.

Ieri era il profondo nero, oggi è il mix tra nero e voucher. Le basi imponibili si erodono? Il legislatore e l’Agenzia delle Entrate se ne inventano di nuove, che problema c’è? E comunque, basta col liberismo sfrenato, disse la sinistra più fallita ed oligarchica del mondo occidentale, quella politico-sindacale italiana. Volevo smettere con la politica dopo la sconfitta al referendum, disse Renzi. Poi si è ricordato che non fa altro da vent’anni e che non ha un lavoro vero, quindi gli è tornato entusiasmo e carica, meglio di un Pocket Coffee. Poi ci sono i grillini, che non sono un algoritmo ma un ibrido tra un’azienda ed una setta di ispirazione maoista, dove la quotidiana esibizione di crassa ignoranza pare entri nei sistemi di selezione e valutazione del personale.

Meno male che Padoan c’è, si diceva: oggi potete ammirare alcuni suoi virgolettati da collezione. Del tipo: “La via maestra per abbattere il debito resta la crescita. La Ue ci ricorda che l’Italia ha un debito troppo alto e questo lo sappiamo tutti. Non è diminuito perché purtroppo siamo stati in deflazione nel 2016 e le condizioni di mercato non ci hanno permesso di completare il programma di privatizzazioni. Un piano che prenderà quota quest’anno, in cui ci aspettiamo una crescita più elevata“.

In realtà, pur emettendo debito a costo ridicolo e disallineato con il reale rischio-Paese, l’Italia non ha crescita ma il ruolo della deflazione al consumo non c’entra, visto il deflatore del Pil ben più elevato. Le “privatizzazioni che favoriscono la crescita”, poi, è stupenda. Come quelle di Poste, ad esempio? O quella attesa di FS?

Quindi abbiamo un governo-fotocopia del precedente, ergo non c’è incertezza politica. Buono a sapersi. Ma allora la non-crescita sarà mica figlia di ricette persistentemente sbagliate, ministro? La logica l’abbiamo rinchiusa nello sgabuzzino delle scope? Oppure è l’unica aspirante immigrata che proprio non riesce ad entrare in Italia? E i rischi “minimi eppur minimizzati” per le banche? Dadaista. Un tempo su questi pixel amavamo scrivere che “falliremo, ma almeno divertendoci”. Oggi non ci divertiamo più.

(estratto di un articolo più ampio pubblicato su Phastidio.net)

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