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È stato ucciso in Siria Abu Mohammad Al Adnani, il portavoce dello Stato islamico, il responsabile delle operazioni all’estero quando il gruppo assume declinazione terroristica e tralascia l’ormai flebile dimensione statuale, uno dei pochi fondatori rimasti ancora in vita, la figura più importante del Califfato dopo il califfo stesso (nei comunicati di commiato viene definito anche “Al-Qurayshi”, la tribù del Profeta, e questo indica la prossimità al Califfo nella linea di successione). La notizia riempie le battute di agenzia e le home page dei siti internazionali. C’è un particolare, però, che è impossibile non notare, e che riguarda la notizia stessa: è stata diffusa direttamente dalla sedicente agenzia stampa del gruppo, Amaq News, e non dalle agenzie internazionali. Con il solito tentativo di darsi un’aurea di autorevolezza e professionalità, Amaq – che in realtà altro non è che uno dei vari media propagandistici del Califfato travestito – scrive che “fonti militari” riferiscono della morte dello “Sceicco”, anticipando qualsiasi altra dichiarazione in proposito; probabilmente è la prima volta che avviene una cosa del genere riguardo a uno dei leader di alta gamma dell’organizzazione.

Gli osservatori più esperti, come per esempio Daniele Raineri del Foglio (che alla figura di al Adnani ha dedicato tempo fa un lungo ritratto), non hanno fatto a meno di notare che il passaggio mediatico via Amaq ha anticipato la comunicazione del Pentagono. Lo Stato islamico si inserisce ancora una volta nel dibattito pubblico e politico, dando peso al comandante-martire e anticipando gli annunci ufficiali. Gli Stati Uniti ci hanno messo qualche ora prima di far uscire un annuncio pubblico: il dipartimento della Difesa alla fine ha dichiarato di aver ucciso Adnani con un raid aereo di precisione ad Al Bab, una cittadina che si trova a metà strada tra Aleppo e Manbij, due aree dove lo Stato islamico ha recentemente perso territorio. Amaq sostiene che il portavoce è stato “martirizzato” mentre partecipava agli scontri ad Aleppo. La dichiarazione del DoD è stata subito recuperata in un tweet da Brett McGurk, il rappresentante della Casa Bianca per la Coalizione internazionale, e spiega l’importanza dell’eliminazione di Adnani, dice che ancora sono in corso le analisi per il riconoscimento (che a questo punto, salvo un bluff dell’IS, è praticamente certo), e usa una retorica aggressiva, chiamando il gruppo “un tumore” e le diramazioni globali “metastasi”; questo differentemente all’atteggiamento più cauto usato nel caso dell’uccisione di altri leader importanti, come per esempio dell’emiro dalla Guerra Omar al Shishani, sulla cui morte c’erano state conferme e smentite (i due, Adnani e Shishani, appaiono fianco a fianco nel famoso video “Breaking the borders” con cui nel giugno 2014 il Califfato annunciò le sue mire globali, “verso tutti i fedeli musulmani”, distruggendo i confini fisici costruiti con le linee di Sikes&Picot).

Adnani è il più importante obiettivo dell’IS eliminato dalle forze della Coalizione, “un colpo significativo” per il Califfato l’ha definito il portavoce Peter Cook nella dichiarazione della Difesa statunitense. Trentanove anni, per quel che si sa, siriano della provincia di Idlib, già membro di Al Qaeda in Iraq, l’organizzazione che si faceva chiamare ISI (Islamic State in Iraq) guidata dal giordano Abu Musab al Zarkawi, Adnani non è solo l’autore dei principali messaggi propagandistici del gruppo, ma è colui che negli ultimi due anni si è dedicato ad esportare la ferocia di quei messaggi sotto forma di attacchi contro l’Occidente, l’Europa. Sue le indicazioni di colpire chiunque, organizzandosi in proprio anche “con la vostra macchina, un coltello, un sasso”, per uccidere “gli infedeli” a casa propria senza la necessità di arrivare in Siria e in Iraq; lui la mente progettuale degli attacchi a Parigi e a Bruxelles; lui la guida della famigerata organizzazione Emni, una sorta di servizi segreti con cui l’IS ha reclutato agenti tra i proseliti, distribuiti poi in tutto il mondo con il compito di compiere azioni terroristiche (la presenza di questa struttura è stata svelata da un reportage di Rukmini Callimachi del New York Times) – per citare di nuovo Cook, Adnani è definito “il principale architetto delle operazioni estere [dell’IS]”. L’ultimo messaggio è del maggio 2016, è diretto agli americani e alle compagne militari dirette verso le roccaforti di Mosul e Raqqa: pensate che perdendo il controllo delle città saremo sconfitti?, vi sbagliate, è il senso del discorso con cui il predicatore apre la strada a quella che diversi analisti credano possa essere la seconda vita dell’organizzazione, una volta persa la dimensione statuale, ossia il concentrarsi sulle azioni terroristiche.

Pare che i droni americani lo abbiano tracciato durante il suo viaggio da Raqqa ad Al Bab, arrivato nella parte orientale della provincia di Aleppo per dar man forte ai combattenti che nell’area hanno subito diversi arretramenti, anche se per quel che è noto in quella zona il ramo di intelligence di cui è responsabile avrebbe il quartier generale (è una zona strategica, perché posta al nord siriano e permetteva di controllare il passaggio degli uomini dal confine quando ancora la Turchia teneva aperte le maglie).

Che venisse da Raqqa (l’informazione non è verificabile) o meno, è stato seguito e questo è un segno ulteriore che la bolla di sicurezza che protegge i leader dello Stato islamico è ormai compromessa, violata forse da informatori e doppiogiochisti, forse da intercettazioni che sono riuscite a penetrare i sistemi di comunicazione finora difficilmente accessibili. Adnani è l’ultimo di una lunga lista di leader eliminati da azione mirate statunitensi nell’ultimo anno, con cui praticamente è stata decapitata la leadership califfale (Haji Bakr, Abu Ali al Anbari, Abu Nabil al Anbari in Libia, Omar al Shishani, ora Adnani). In generale, per un gruppo che ha un rapporto paranoico con la sicurezza (a ragion veduta, in effetti), non è un buon segnale: a questo si aggiunga la perdita di territorio controllato, le lamentale interne, il taglio dei vettori di approvvigionamento (economico e materiale) subiti in questi mesi. Ma sia chiaro che l’uccisione di un leader, seppure nevralgico come Adnani, non è un colpo fatale per l’organizzazione: pare che Adnani stesse cercando di ripercorrere la propria linea ereditaria per cercare possibili collegamenti genetici con il Profeta, sostiene su Twitter Callimachi, e questo significa che aveva avviato le pratiche per una possibile successione al Califfo in caso in cui Abu Bakr al Baghdadi venisse meno, ed è dunque probabile che c’è già pronto un suo sostituto. L’IS è un’organizzazione pensata per rigenerarsi e assorbire la perdita dei leader.

Adnani fu prigioniero a Camp Bucca, palestra per numerosi leader dell’attuale Stato islamico – tra gli ospiti anche il Califfo in persona –, catturato nel 2005, un anno prima dell’uccisione di Zarkawi (anche in questo caso a opera di un bombardamento mirato americano). Chi segue il jihad, come Michael Weiss del Daily Beast, racconta che Adnani è stato personalmente, e spiritualmente (uno dei tanti feeling ideologici: l’odio fratricida per gli sciiti), collegato al terrorista giordano fin dai tempi dell’organizzazione terroristica nota come Ansar al Islam, un gruppo insurrezionale curdo sunnita, di cui poi Zarkawi prese il controllo e successivamente, approfittando dell’invasione americana nel 2003 attecchì nell’Anbar, ottenne soldi e armi, facendolo diventare via via più grosso dopo aver prestato giuramento ad Osama Bin Laden ed essere entrato nel network qaedista. Adnani e Zarkawi erano i pensatori dello scontro apocalittico a Dabiq: la città dell’outskirt settentrionale di Aleppo ora dà il nome alla rivista in inglese del gruppo, ma nella narrativa jihadista promossa dall’Isis è ritenuta il luogo in cui lo sforzo jihadista apertosi in Iraq dopo l’occupazione americana si sarebbe sintetizzato in una battaglia all’ultimo sangue con gli invasori infedeli. Per il suo stile dialettico forte si guadagnò il soprannome di “attack dog”: forse per la sua provenienza, forse per le sue mire condivise col vecchio leader Zarkawi, Adnani fu uno degli ideologi della scissione dell’Isis da Al Qaeda, quando quest’ultima chiese al suo gruppo di ritirarsi dalla Siria (era il febbraio del 2014): Adnani sosteneva che non si può guidare il jihad nascosti tra le grotte del Waziristan,e così attaccava la guida qaedista Ayman al Zawahiri, che di tanto in tanto riappare in video girati nella regione montagnosa al confine tra Afghanistan e Pakistan dove è rifugiato. Raineri scrive in un tweet che Adnani era “uno dei tre rimasti in vita tra i 43 fondatori dello Stato islamico”, e intende l’Isi.

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