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Che curiosa coincidenza! Mentre Matteo Renzi sorprendeva tutti, avversari e amici, rilanciando il progetto – o il sogno, come altri lo chiamano – del Ponte sullo stretto di Messina, con i centomila posti di lavoro annessi e connessi per la costruzione, l’ingegnere Carlo De Benedetti, editore della Repubblica di carta fondata da Eugenio Scalfari, rilasciava ad Aldo Cazzullo, per il Corriere della Sera, una lunga intervista per prevedere, e insieme auspicare, l’unica condizione politica alla quale quel ponte potrebbe davvero essere costruito. Un ponte, peraltro, del quale l’ingegnere non ha minimamente parlato nell’intervista, ma forse solo perché Cazzullo non glielo aveva chiesto, non essendogli ancora arrivata la notizia della sorpresa di Renzi.  Ma forse qualcosa l’intervistato già sapeva.

Berlusconi, lo sanno ormai anche le pietre, del progetto del ponte di Messina è innamorato, ancor più che convinto. Se fosse dipeso da lui, se non gli avesse guastato la festa Romano Prodi succedendogli una volta a Palazzo Chigi e decidendo il contrario, quel benedetto ponte sarebbe stato già in costruzione.

Ebbene, è proprio con Berlusconi, in attesa “col cappello in mano”, che De Benedetti ha previsto e auspicato che Renzi sia destinato ad accordarsi, sia che vinca sia che perda il referendum del 4 dicembre sulla sua riforma costituzionale. Sì, con lui, il “carissimo nemico” dello stesso De Benedetti e dei suoi giornali, per ripetere il titolo dell’ultima copertina dell’Espresso dedicata all’ex presidente del Consiglio in occasione del suo ottantesimo compleanno. Che è un traguardo anagrafico, e non solo anagrafico, di tutto rispetto. Un traguardo sul quale peraltro l’ingegnere ha preceduto l’ex Cavaliere di quasi due anni, senza per questo finire di essere ricco, influente e potente nel campo dell’editoria, della finanza e, di riflesso, anche della politica, pur se lui fa finta, come del resto diceva da giovane Berlusconi, di non esserne interessato.

Il “cappello” di Berlusconi sarà appoggiato per il momento sulle mani di Stefano Parisi, fra le proteste, i timori, le gelosie, le invidie dei graduati di Forza Italia, ma alla fine sarà sempre l’uomo di Arcore a decidere. Su questo, come si dice, non ci piove.

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In un ritorno al tanto famoso e da tanti odiato Patto del Nazareno, stretto fra Renzi, fresco di elezione a segretario del Pd, e Berlusconi appena decaduto da senatore per la condanna definitiva per frode fiscale, De Benedetti vede l’unico modo per “ridimensionare la sinistra e restituire Salvini alle valli che aveva disceso con orgogliosa sicurezza”, ha detto sarcasticamente col linguaggio guerriero di Armando Diaz nello storico bollettino della vittoria sugli austriaci nella prima guerra mondiale.

Dei grillini e delle prove che stanno dando amministrando, sia fa per dire, Roma, insultando i giornalisti e immaginando di essere perseguitati dai famosi “poteri forti”, è inutile che vi dica cosa pensi l’ingegnere. Ancora peggio, credo, dei leghisti o del loro segretario, che d’altronde tante volte ripete gli argomenti di Grillo, senza riuscire tuttavia a far ridere il suo pubblico perché non è un comico.

Assodato che Renzi per mettere in sicurezza “l’energia e le qualità” dimostrate a Palazzo Chigi, anche nella contestazione di quella “follia” che pure De Benedetti considera l’austerità imposta dai tedeschi all’Europa, paragonabile secondo lui ad una “dieta” disposta come cura ad un “ammalato di polmonite”, che cosa intende fare l’ingegnere per farlo uscire il meglio possibile dal referendum costituzionale di dicembre? E’ chiaro infatti che il potere contrattuale del presidente del Consiglio nei riguardi di Berlusconi dipenderà dal risultato di quella prova elettorale. Se vincerà, il suo potere contrattuale sarà alto. Se perderà, e sarà quindi costretto –ha detto De Benedetti- a dimettersi “il giorno dopo”, pur “non lasciando la politica”, il suo potere contrattuale sarà minore, e di parecchio.

La logica vorrebbe, a questo punto, vista la stima ch’egli ha di Renzi, che l’ingegnere gli desse una mano votando sì al referendum, come mi sembra che si sia predisposto a fare Eugenio Scalfari nel suo intervento di domenica scorsa prendendo per buona la disponibilità del presidente del Consiglio a cambiare la legge elettorale della Camera chiamata Italicum, e comunque dando per scontata che essa cambierà col bisturi della Corte Costituzionale. E’ proprio quella legge, come si sa, che molti considerano, a torto o a ragione, un pericolo inaccettabile per la democrazia se combinata con la riforma costituzionale sotto procedura referendaria. Tanto inaccettabile che varrebbe la pena bocciare la riforma. Che, per quanto pasticciata in alcune parti, è pur sempre una riforma.

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De Benedetti, a dire la verità, nell’intervista al Corriere della Sera si è dimostrato meno fiducioso del suo amico Scalfari. Egli ha visto nelle aperture di Renzi più “tattica” che altro, per cui continua ad essere quanto meno tentato dal no, forse sperando che vinca ugualmente il sì e conciliando così gli opposti. D’altronde, il voto è ancora segreto, almeno nei seggi elettorali. E vi rimarrà probabilmente sino a quando i grillini non riusciranno a realizzare la loro rivoluzione facendo votare gli italiani a casa col computer, con tutte le amenità del segreto elettronico.

D’altronde, a dire no e a desiderare sì De Benedetti non sarebbe solo, visto che la scomposizione intima fra i due voti opposti è stata appena attribuita anche a Berlusconi e al suo cerchio familiare, o quasi, da un giornale – il solito Foglio – che lo ha a lungo frequentato, lo frequenta tuttora e lo conosce bene.

Sorpresona: Carlo De Benedetti cambia idea e invoca un nuovo Patto del Nazareno

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