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A proposito di balle e di giurie popolari contro i giornalisti. Se si entra nel blog di Beppe Grillo, il dato che sorprende è il numero dei “like”. I “mi piace” al “codice di comportamento del Movimento 5 stelle in caso di coinvolgimento in vicende giudiziarie”, stando a quanto riportato, sono stati 962 mila. Numero impressionante. Quello grillino è, evidentemente, un popolo di giuristi: pronti a spaccare in quattro il capello, quando si tratta di argomenti che riguardano i comportamenti individuali. I commenti al documento sono stati 640. Numeri più umani. Evidentemente il primo dato non si riferisce al documento in questione, ma all’intero blog. La sommatoria, cioè, di contatti che si sono ripetuti negli anni. Una piccola furbizia, che rischia di fuorviare.

Come è stata furba, ma soprattutto ingenua, l’idea di taroccare una delle immagini della festa di Roma, a Capodanno. Con quella foto, accostata al volto sognante di Virginia Raggi, sullo sfondo del Colosseo con la rosa dei fuochi d’artificio. Immagine copiata ed incollata a bella posta, da una istantanea di Repubblica, riferita alle feste di fine d’anno organizzate dal precedente sindaco: Ignazio Marino. Subito scoperta ed immediatamente oscurata, dopo che il fotomontaggio aveva fatto il giro del web. Quale sarebbe stato il verdetto della giuria popolare, se fosse stata nominata? Anche senza quell’inutile orpello, la verità è emersa senza dover scomodare tribunali d’inquisizione.

Fatti di costume. Anzi di malcostume. Ma guardiamo alla sostanza. La svolta garantista del movimento è stata celebrata in vario modo. Sennonché il risultato finale risulta tutt’altro che convincente. Il rifiuto di ogni automatismo è fin troppo giusto. Ma basta la semplice “notizia dell’esistenza di un procedimento penale” a carico di “un portavoce” per far scattare la procedura di indagine interna che può portare alle sanzioni previste dal “Regolamento del movimento 5 stelle”? Che sono: il richiamo, la sospensione e l’espulsione. Il caso più grave è naturalmente quello dell’espulsione. È interessante notare come questa sanzione possa essere irrorata nei confronti degli “eletti ad una carica elettiva, per gravi violazioni degli impegni assunti all’atto di accettazione delle candidature”. Il famoso contratto sottoscritto da Virginia Raggi con la Casaleggio Associati. Tema scivoloso: se non altro a causa di una denuncia all’Autorità giudiziaria. Su cui il Tribunale dovrà pronunciarsi tra breve.

Al di là di questo caso, il limite maggiore del “Codice di comportamento” è il suo apparente contrasto con gli articoli 25 e 102 della nostra Costituzione. “Nessuno può essere”, infatti, “distolto dal giudice naturale precostituito per legge”(articolo 25). Né possono essere “istituiti giudici straordinari o giudici speciali” (articolo 102). La funzione che il “Codice di comportamento” assegna ai probiviri ed, in ultima istanza al “Capo politico” (articolo 1 bis), non può quindi avere come unico presupposto “l’informazione di garanzia” o “l’avviso di conclusione delle indagini” (articolo 4). Questa limitazione, infatti, innescherebbe un processo parallelo, in netto contrasto con le norme richiamate.

Il Codice di comportamento, in qualche modo, è consapevole di questa contraddizione, che, tuttavia, è incapace di risolvere. In più parti si afferma, infatti, che il giudizio prescinde dagli “esiti e dagli sviluppi del procedimento penale”. Si afferma altresì che l’eventuale “auto-sospensione” non implica “di per sé alcuna ammissione di colpa o di responsabilità”. Segno evidente di una sovrapposizione che rischia comunque di avere effetti perversi sull’andamento dell’eventuale processo penale. Specie se di natura indiziaria.

Esiste quindi una profonda anomalia. In tutte le libere associazioni compito dei probiviri é valutare il comportamento dei soci a prescindere dal rilievo penalistico. L’Organo interviene ogni qualvolta vi sia violazione dello Statuto. Il penale è cosa a parte. Lo stesso Organo dirime le relative controversie. Valuta a tutto tondo gli eventuali atteggiamenti dei soci, ogni qual volta questi ultimi recano nocumento all’immagine del sodalizio. E via dicendo. In un movimento politico, poi, questi vincoli, a carico degli iscritti, sono ancora più stringenti. Ad esempio l’accusa di “frazionismo”, come spesso è avvenuto in passato, può dar luogo alla “radiazione” – come dimenticare il caso de “Il Manifesto“? – o dell’espulsione. Fattispecie queste ultime che non sono contemplate nel “Codice di comportamento” grillino. Tutto concentrato, invece, su quell’unica fattispecie, che spiazza la normale giurisdizione e le sue garanzie costituzionali.

L’ultima chicca è infine quella prevista dall’articolo 5. Si stabilisce che “i portavoce, quando ne hanno notizia, hanno l’obbligo di informare immediatamente e senza indugio il gestore del sito…” dell’esistenza di procedimenti penali in corso nei quali assumono la qualità di indagato o imputato”. La presunta colpa di cui si è macchiato Federico Pizzarotti, quando ancora il “Codice di comportamento” era in mente dei. Ma il comma 2 dell’articolo 25 della nostra Costituzione non stabilisce forse che “nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso”? Giriamo la domanda a quei 37.360 grillini che, con tanto entusiasmo, hanno approvato la nuova bibbia del Movimento.

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