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Ho letto con una certa sorpresa le motivazioni con cui Giorgio Napolitano, nell’intervista al direttore del Foglio Claudio Cerasa, ha sollecitato una revisione dell’Italicum. È del tutto condivisibile l’appello del presidente emerito della Repubblica a svelenire il clima politico e a spersonalizzare il referendum costituzionale. Ma che il doppio turno presenti un problema di legittimazione democratica della forza vincente in un sistema tripolare mi pare una tesi discutibile. Il tripolarismo in Italia non nasce con le ultime elezioni amministrative. Era emerso già nelle elezioni politiche del 2013, e proprio per superarlo è stato adottato il doppio turno. In Gran Bretagna, dove c’è un sistema tendenzialmente bipolare, c’è il turno unico. In Francia, dove il consenso di norma si distribuisce tra gollisti, socialisti e lepenisti, c’è il doppio turno (che ha funzionato abbastanza bene).

Nel primo turno si vota per il partito o il movimento che offre all’elettore il più alto grado di identificazione politica e culturale. Nel ballottaggio, dove la competizione è ristretta alle due maggiori minoranze, l’opzione prevalente è quella per la governabilità piuttosto che per la rappresentanza. Con questa formula elettorale può vincere il M5s? E allora? Si può cambiare la legge elettorale solo per impedire a Beppe Grillo di governare, o perché i sondaggi sembrano smentire il risultato auspicato? Questa si chiama democrazia à la carte, ed è  l’opposto della liberaldemocrazia.

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In molti chiedono al premier un’iniziativa sulla legge elettorale, che contribuisca anche a spianare la strada al Sì nel referendum di novembre. Ma non bisogna dimenticare che la Corte Costituzionale è stata chiamata a pronunciarsi su aspetti non di dettaglio dell’Italicum (preferenze, capolista bloccati, pluricandidature), e che quindi sarebbe saggio attendere il suo verdetto prima di avanzare nuove quanto improvvisate proposte. Nella rivista di Magistratura Democratica “Questione Giustizia” (1/2015), Gino Scaccia (docente di diritto costituzionale alla Luiss) ha sottolineato che in astratto meccanismi di blocco, potrebbero essere impiegati non solo per assicurare un seggio parlamentare a capi-bastone del partito, ma anche a personalità della società civile di riconosciuta competenza e professionalità. Non è detto, dunque, che la designazione non integrale dei membri della Camera sia un male in sé.

Occorre però chiedersi -osserva Scaccia- se questo blocco determini un’eccessiva sproporzione fra designazione diretta da parte degli elettori e designazione indiretta ad opera dei partiti. Fissare una ragionevole distribuzione fra voti bloccati e preferenze è molto difficile. Il riferimento più immediato  è costituito dalla legge Mattarella, che limitava al 25 per cento la quota dei seggi assegnati su base proporzionale in listini bloccati, mentre il restante 75 per cento era distribuito in sede di collegi uninominali. In ambito comparato, e rimanendo nell’ambito delle leggi elettorali politiche, un riferimento utile è costituito dalla Germania, che assegna il 50 per cento dei seggi con il meccanismo della lista bloccata; il restante in collegi uninominali. E questo pare un bilanciamento  ragionevole fra nomina dei partiti e scelta degli elettori.

Come è noto, infine, nell’Italicum non viene posto alcun vincolo alla facoltà del plurieletto di optare per uno dei seggi parlamentari conquistati. Il voto espresso dall’elettore è così affidato alla decisione soggettiva, potenzialmente capricciosa e tuttavia insindacabile del candidato plurieletto. Egli diventa così titolare di un potere improprio di designazione del rappresentante di un dato collegio elettorale, sottraendo questa scelta ai cittadini. Diversa sarebbe la valutazione di compatibilità con il principio di personalità del voto se fosse previsto un automatismo legale, ad esempio assegnando al plurieletto il seggio nel collegio in cui ha ottenuto la percentuale più alta di suffragi, in modo da riferire la scelta all’elettorato e non a una sua soggettiva preferenza.

Ma queste sono solo opinioni. Aspettiamo di sapere cosa ne pensano al Palazzo della Consulta.

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