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Stavolta la motosega è rimasta nel deposito degli utensili. Javier Milei, il pirotecnico e un po’ vulcanico presidente argentino che due anni fa, quando ha preso le redini di un Paese sull’orlo dell’ennesimo fallimento, aveva promesso di raddrizzare le sorti di un Paese che nella storia recente è andato in default otto volte.

Da quando è diventato presidente, nel 2023, Milei ha attuato un’austera riforma del settore pubblico, con il licenziamento di 30mila dipendenti pubblici e l’eliminazione di molti sussidi per le persone più povere. Anche grazie a una serie di misure finanziarie volte a sostenere il valore del peso, le sue politiche hanno prodotto risultati molto positivi nel contenimento dell’inflazione, cioè il cronico aumento del costo generale della vita che in Argentina impoveriva la popolazione e le rendeva impossibile risparmiare. Questo ha portato a un ragguardevole calo della povertà nel Paese.

Forse, però, non è bastato. Non era abbastanza, non per gli investitori, che nelle ultime settimane erano tornati a mugugnare, allontanandosi dalla terra delle pampas. E le ombre sono tornate ad allungarsi su Buenos Aires. Alla Casa Rosada hanno pensato bene di bussare all’alleato più fedele, gli Stati Uniti. I quali non si sono certo tirati indietro. Con un intervento con pochi precedenti nella storia recente degli Stati Uniti, il dipartimento del Tesoro americano ha infatti messo a terra un piano da 20 miliardi di dollari per sostenere il valore del peso, la moneta argentina, che nelle ultime settimane aveva perso molto a causa di una crisi di sfiducia da parte degli investitori internazionali. Concretamente, Washington, ha comprato pesos in gran quantità per farne risalire il valore, come del resto stava già facendo con pochi risultati anche la banca centrale argentina, arrivata vicina a finire le sue riserve di valuta straniera.

Donald Trump l’ha fatto per aiutare proprio Milei, il più stretto alleato americano in America Latina che, come detto, con un piano di riforme economiche di stampo liberista sta cercando di risolvere la crisi profonda in cui si trova l’Argentina da molto tempo. In questo momento peraltro Milei si trova in una situazione politica complicata: il 26 ottobre ci saranno le elezioni parlamentari di metà mandato, e il presidente argentino ci sta arrivando con indici di popolarità piuttosto bassi. Tutto questo, però, non ha impedito a Buenos Aires di abbracciare la Cina e le sue industrie.

La casa automobilistica cinese Byd, che sta da tempo riscrivendo le regole dell’intero mercato auto mondiale, ha ufficialmente avviato vendite di veicoli elettrici in Argentina, sull’onda della decisione dello stesso governo argentino di eliminare i dazi all’importazione sui veicoli elettrici e ibridi. La politica di Milei, dunque, consentirà l’ingresso nel Paese di un massimo di 50 mila veicoli senza dazi nel 2026. E il costruttore di Shenzhen, il principale produttore mondiale di veicoli elettrici, non ha perso un istante. Tanto che dei 50 mila veicoli elettrici e ibridi consentiti dalla nuova misura, si prevede che circa 40 mila proverranno dalla Cina. Anche perché Buenos Aires è il secondo mercato automobilistico più grande del Sud America dopo il Brasile, ma ha la più bassa penetrazione di veicoli elettrici della regione. Ora però con l’esenzione tariffaria e l’ingresso della Cina nel mercato, questa dinamica potrebbe cambiare rapidamente.

Tutto questo mentre, e si torna in Europa, la stessa Byd sta considerando la Spagna come sede per il suo terzo stabilimento europeo, con l’obiettivo di servire meglio il mercato del Vecchio continente. Motivo? Costi di produzione relativamente contenuti e una rete di energia pulita efficiente. Una scelta che rappresenterebbe un notevole passo avanti per la casa di Shenzhen, già impegnata in progetti di espansione con stabilimenti in Ungheria e Turchia: la competizione con Tesla è infatti serrata, e avere una base produttiva in Spagna potrebbe rafforzare la posizione dell’azienda nel settore delle auto elettriche. Ad maiora.

L'Argentina apre le porte a Byd. Tutte le piroette di Milei

Solo poche settimane fa il salvataggio da 20 miliardi orchestrato da Washington, che ha evitato l’ennesimo default di Buenos Aires. Ora però il costruttore di Shenzhen mette piede nel Paese sudamericano. E proprio grazie al pirotecnico leader della Casa Rosada, che si è sempre fregiato di essere un buon amico degli Usa

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