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Ogni giorno nel nostro Paese tantissimi pazienti assumono farmaci, per curare patologie, gestire condizioni croniche o prevenire complicanze. Tuttavia c’è un dato preoccupante che pesa sull’efficacia delle terapie: meno della metà dei pazienti cronici segue correttamente le cure prescritte. Parliamo di aderenza terapeutica, ovvero del grado con cui i pazienti rispettano le prescrizioni mediche. Un tema cruciale ma spesso trascurato o sottovalutato, che incide non solo sull’efficacia e quindi sugli esiti clinici individuali, ma anche sulla sostenibilità del Servizio sanitario nazionale.

Un farmaco efficace, anche se innovativo, se non viene assunto correttamente, in modo costante e preciso, perde il suo potenziale. A livello europeo si stima che la scarsa aderenza causi oltre 200mila morti premature ogni anno, generando una spesa compresa tra gli 80 e i 125 miliardi di euro, per ricoveri, cure d’emergenza e visite ambulatoriali. In Italia, appena il 40% dei pazienti rientra nella categoria dell’aderenza elevata, quella cioè dell’assunzione corretta della terapia per almeno l’80% del tempo.

Le cause del fenomeno e le sfide da affrontare sono molteplici e complesse. In primo luogo, la complessità dei regimi terapeutici rappresenta una barriera concreta, soprattutto per pazienti cronici o con comorbidità: più farmaci, più dosi, più occasioni di errore o abbandono. A questo si aggiungono gli effetti collaterali, reali o percepiti, che spingono molti pazienti a sospendere il trattamento senza consultare il medico. Avviene poi nel caso di patologie asintomatiche, come ipertensione o ipercolesterolemia, che la mancanza di sintomi renda difficile percepire il beneficio della terapia e ne causi di frequente l’abbandono. Ancora, non vanno trascurate le barriere socioeconomiche rappresentate dal costo dei farmaci, l’accessibilità ai servizi, la scarsa alfabetizzazione sanitaria e i fattori psicologici, come ansia, depressione e solitudine. Tutti elementi che possono compromettere la motivazione del paziente e ostacolare la continuità della cura.

Ancora, tra i fattori determinanti c’è anche la qualità della comunicazione medico-paziente: un linguaggio troppo tecnico, informazioni vaghe o un rapporto poco empatico possono minare la fiducia e compromettere l’aderenza più di qualsiasi effetto collaterale. Non bisogna dimenticare che particolare attenzione meritano le popolazioni vulnerabili, come gli anziani, i bambini, i migranti, le persone con disabilità, che necessitano di strumenti dedicati, tempi più lunghi e un’assistenza centrata sull’ascolto.

Oggi si parla con entusiasmo di medicina di precisione, in grado di personalizzare le terapie sul profilo genetico, clinico e biologico del paziente. Ma c’è un altro aspetto che merita la stessa attenzione: la personalizzazione dell’aderenza. A cosa serve una terapia mirata se il paziente non la segue? Da qui nasce il concetto di prescrittomica: un nuovo ambito che studia i fattori individuali (genetici, ambientali, psicologici e sociali) capaci di influenzare il comportamento terapeutico e l’aderenza, integrando la medicina di precisione con una componente umana e relazionale, coincidente con la comprensione più profonda del paziente per la sua presa in carico efficace.

È dunque ormai chiaro che l’aderenza è multifattoriale: dipende da come prescriviamo, da come comunichiamo ma anche da chi è il paziente, cosa comprende, cosa teme e cosa vive nel suo contesto quotidiano. Per questo è duplice l’obiettivo da raggiungere: usare la medicina di precisione per scegliere il farmaco giusto e ricorrere alla prescrittomica per scegliere il modo giusto di accompagnare il paziente nella terapia. Per rispondere a queste sfide servono strategie integrate e multidimensionali: semplificare i regimi terapeutici, riducendo il numero di somministrazioni; sfruttare le opportunità della digitalizzazione e della telemedicina a supporto dei pazienti (app, promemoria, telemonitoraggio); coinvolgere attivamente i farmacisti, come professionisti di prossimità nella gestione della terapia; favorire l’accesso ai farmaci, con la distribuzione per conto (Dpc) o la consegna domiciliare per i pazienti anziani e fragili; personalizzare le cure, adattandole alle esigenze del paziente; formare e coinvolgere i caregiver, spesso invisibili ma fondamentali nel percorso terapeutico.

Non si tratta solo di curare meglio, ma di curare insieme. L’aderenza richiede un nuovo patto tra sistema sanitario e cittadini, fondato su fiducia e ascolto. Investire sull’aderenza terapeutica significa migliorare gli esiti clinici, prevenire complicanze evitabili, ridurre i ricoveri e abbattere i costi inutili. Ma, soprattutto, significa restituire centralità al paziente e tutelare la salute pubblica e la sostenibilità del Servizio sanitario nazionale, perché non c’è innovazione e non c’è sostenibilità senza la partecipazione del paziente.

(Pubblicato su Healthcare Policy 16)

Per garantire l’aderenza terapeutica servono strategie integrate. L’intervento di Nisticò

Di Robert Nisticò

Un farmaco efficace, anche se innovativo, se non viene assunto correttamente, in modo costante e preciso, perde il suo potenziale. L’aderenza terapeutica diventa così una sfida cruciale, che la medicina di precisione e la prescrittomica provano ad affrontare personalizzando non solo le terapie, ma anche il modo di seguirle. L’intervento di Robert Nisticò, presidente dell’Agenzia italiana del farmaco (Aifa)

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