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Nella dimensione nucleare, Washington non può rimanere indietro a nessuno. O almeno, questo è il messaggio che intende trasmettere all’audience internazionale il presidente statunitense Donald Trump, annunciando la ripresa “immediata” dei test nucleari da parte degli Stati Uniti. Una formulazione volutamente ambigua, poiché non viene specificato se la ripresa in questione riguardi gli effettivi test di detonazione degli ordigni nucleari o piuttosto quella dei vettori adibiti al trasporto degli stessi. La risposta giusta è, probabilmente, la seconda, come suggeriscono alcuni dettagli specifici.

A partire dal fatto che nessuna potenza (ad eccezione della Corea del Nord) abbia condotto test di detonazione nucleare dall’inizio del nuovo millennio, e che quindi le parole di Trump sull’avere “istruito il Dipartimento della Guerra a iniziare a testare le nostre armi nucleari su basi equivalenti” a causa dei programmi di test condotti da altri Paesi si riferissero al test di sistemi di delivery, più che ad armamenti veri e propri. Non che gli Stati Uniti abbiano obblighi di sorta a questo riguardo: pur avendo firmato il Comprehensive Nuclear-Test-Ban Treaty (Ctbt) nel 1996, cioè il trattato che bandisce le detonazioni nucleari nel suo complesso, il parlamento di Washington non ha mai ratificato il documento in questione (con Mosca e Pechino che hanno fatto lo stesso).

C’è poi da considerare il “fattore Trump” nel computo generale. Che il presidente americano ami ricorrere ad una retorica assertiva e provocativa, per non dire aggressiva, non è certo una novità. Nel corso dell’ultimo anno il Tycoon ha mostrato una netta preferenza verso l’uso di un linguaggio volutamente esagerato ed iperbolico, a volte per avere un piglio più forte sull’opinione pubblica, a volte per cercare di intimorire i propri interlocutori. Spesso, però, le roboanti dichiarazioni di Trump non si sono tradotte in risultati concreti sul piano pratico. Data la sensibilità del tema in questione, mostrarsi coerenti rischierebbe di dimostrarsi veramente controproducente rispetto ad un mero atto di signaling.

Perché è proprio in questa chiave che si deve leggere la dichiarazione di Trump, che è avvenuta in un momento ben definito, così come ben definiti sono i destinatari (menzionati esplicitamente dallo stesso Presidente Usa), ed incastonata tra un prima e un dopo. Il prima riguarda la Russia, che nei giorni scorsi ha portato avanti una campagna di comunicazione sul test di “armi nucleari” tutt’altro che nuove: le due armi in questione, il missile Burevestnik e il siluro Poseidon, erano state annunciate da Vladimir Putin in un celeberrimo intervento del 2018, con il Burevestnik che era già stato testato nel 2023 secondo le dichiarazioni dello stesso Putin, mentre il Poseidon aveva completato la fase di prova nel 2019. Nel riproporre i test di questi sistemi con capacità nucleari, il Cremlino ha voluto stressare ulteriormente la sua retorica nucleare, nel tentativo (vano) di intimorire l’amministrazione statunitense, dopo che quest’ultima ha deciso per l’imposizione di sanzioni contro i grandi attori del settore petrolifero russo in risposta all’indisponibilità del Cremlino di perseguire in modo serio una soluzione negoziata al conflitto in Ucraina.

Il dopo riguarda, invece, la Repubblica Popolare. La dichiarazione di Trump è arrivata immediatamente prima del vertice bilaterale tra lui e il leader cinese Xi Jinping, a margine della conferenza dell’Associazione delle Nazioni del Sud-est asiatico. Anche se la tematica nucleare non rientra nella lista di quelle che sarebbero state discusse dai due Capi di Stato nel corso del loro incontro faccia a faccia, l’inquilino della Casa Bianca sa bene quanto la capacità atomica sia una dinamica importante per il leader cinese, che sta portando avanti un ambizioso programma di ammodernamento ed espansione del suo arsenale nucleare, grazie al quale la Repubblica Popolare dovrebbe raggiungere la parità con gli Stati Uniti entro la fine del decennio. Un obiettivo considerato pressoché necessario da una potenza con la (poco) latente ambizione di sostituirsi a Washington come attore protagonista del sistema internazionale.

Ad entrambi i Paesi, Trump ha voluto mandare un messaggio chiaro, ovvero quello che sotto la sua guida gli Stati Uniti non si faranno in alcun modo intimidire dalle pressioni nucleari di attori esterni, senza dover rompere un equilibrio nucleare che va oltre la competizione tra grandi potenze. O almeno così sembra.

 

Cosa c'è dietro le parole di Trump sul nucleare

Il leader Usa annuncia la ripresa “immediata” dei test nucleari statunitensi, ma dietro le parole si nasconde soprattutto una manovra di signaling politico. Palesemente diretta a Mosca e Pechino

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