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Dal Sì all’Italicum al No al referendum passando per quattro Ni. Non mi si venga a dire che la condotta della minoranza PD è stata, perlomeno, coerente.

Un osservatore esterno, neutrale e disincantato che ha visto? In Parlamento la minoranza Pd ha approvato sia la riforma costituzionale che la legge elettorale. Dunque prima posizione: Sì alla riforma Boschi e Sì all’Italicum. Anzi. Tranne una sparutissima pattuglia di dissidenti (mi pare di ricordare tre senatori) nessuno, nella minoranza Pd, sollevò allarmi “democratici” sulle riforme approvate (che ora vanno a referendum confermativo, come si sapeva già allora).

La minoranza approvò pure l’Italicum. Non ho una buona memoria ma tra le motivazioni, oltre alla disciplina di partito, c’era il fatto che l’Italicum conteneva criteri che erano stati, da sempre, proposti anche dalla sinistra (ballottaggio, premio di governabilità al partito e non alla coalizione, assenza del premierato ecc). Sull’Italicum il vero dissenso della minoranza Pd riguardava i meccanismi di elezione dei nuovi senatori  non eletti ma indicati dalle Regioni) e dei futuri deputati (i capilista bloccati).

Come si vede la prima posizione della minoranza Pd (D’Alema compreso) era quella del Sì ad entrambe le leggi (costituzionale ed elettorale) votate, da loro stessi, in Parlamento con una sostanziale riserva, sui meccanismi elettorali.

Poi un primo cambiamento: mentre continuava a non criticare per nulla il merito della riforma Boschi (riassunta nei cinque quesiti che ora vanno a referendum) la minoranza Pd focalizzava la sua polemica sull’Italicum. Ma sempre e solo sui meccanismi elettivi (eccessivo numero di nominati rispetto a senatori e deputati eletti). Niente allora si criticava dei pilastri dell’Italicum (ballottaggio, premio di maggioranza ecc). Tantomeno si parlava di “deriva autoritaria” e via cantando. La seconda posizione della minoranza Pd divenne così il Sì alle riforme Boschi e il Ni all’Italicum (ma sempre e solo perché aveva troppi nominati).

Poi maturò una terza posizione: Sì alle riforme Boschi ma No all’Italicum. Senza mai ancora criticare le riforme Boschi, la minoranza Pd accentuò la critica all’Italicum, non più solo sui “nominati” ma sul vulnus maggioritario: il pericolo che con il 25% di voti si dà un premio eccessivo all’eventuale partito vincente. Osservazione inconsistente perché il ballottaggio elimina questo problema. Quindi la terza posizione della minoranza Pd diventa: Sì al referendum ma No all’Italicum.

Poi maturò una quarta posizione. Erano scesi, nel frattempo, in campo i pezzi da novanta del No alla riforma Boschi (i difensori della “Costituzione più bella del mondo”, qualche magistrato, qualche opinionista, la sinistra eterna del No ad ogni riforma e D’Alema). La posizione della minoranza Pd (Sì a Boschi e No all’Italicum) traballa. E diventa: Sì a Boschi solo se Renzi “apre” alla riforma dell’Italicum.

Renzi apre alla riforma dell’Italicum. Ma la minoranza del Pd si è, nel frattempo, già spostata su una quinta posizione: “No al referendum perché l’apertura di Renzi sull’Italicum (che loro avevano richiesto) non è… credibile”. E perché non sarebbe credibile? Non l’ho capito.

La verità è una sola: la minoranza Pd ha cambiato 5 volte posizione. E sempre e solo per un motivo: non è autonoma da D’Alema e Zagrebelsky. E si è fatta eterodirigere: dal Sì al No passando per quattro Ni.

Ecco come Bersani e sinistra Pd hanno cambiato idea 5 volte sull'Italicum

Dal Sì all'Italicum al No al referendum passando per quattro Ni. Non mi si venga a dire che la condotta della minoranza PD è stata, perlomeno, coerente. Un osservatore esterno, neutrale e disincantato che ha visto? In Parlamento la minoranza Pd ha approvato sia la riforma costituzionale che la legge elettorale. Dunque prima posizione: Sì alla riforma Boschi e Sì…

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