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Entro l’inizio di agosto in Siria dovrebbe prendere essere previsto un organismo “ampio, inclusivo, non settario, con pieni poteri esecutivi” come recita il comunicato del Gruppo internazionale di supporto sulla Siria. Un organo di transizione politica che permetterà di veicolare il percorso per la fine della guerra civile. Ma non s’è per il momento deciso una nuova data per aggiornare i talks, o rendere operativa questa intenzione. Il segretario di Stato statunitense John Kerry e il parigrado russo Sergei Lavrov hanno presieduto la riunione di confronto del Gruppo martedì a Vienna, assenti opposizioni e delegati siriani: la principale delle decisione concordate è il mantenimento del cessate il fuoco stretto a febbraio, condizione necessaria affinché la guerra non riprenda “su scala più vasta”, e soprattutto condizione indispensabile affinché i lanci di aiuti umanitari riescano a raggiungere le persone che vivono nelle aree dove a dispetto della debolissima tregua i combattimenti proseguono (le colpe sono su entrambi i lati, quelli dei lealisti e dei ribelli, a cui aggiungere lo Stato islamico che come spesso accade approfitta delle situazioni di stallo).

È una fase molto delicata, l’Arabia Saudita, capofila dei paesi del Golfo che supportano le opposizioni e chiedono l’abbandono del potere da parte di Bashar el Assad, minaccia che se la transizione a Damasco non inizierà entro agosto, fornirà armi più tecnologiche e potenti ai ribelli (quelle contraeree che potrebbero livellare il gap contro l’aviazione governativa). Inoltre, come, ha ricordato anche il delegato Onu Staffan de Mistura dalle colonne di Repubblica, la stabilizzazione è l’unico delle condizioni indispensabili per combattere lo Stato islamico. Anche per questo gli Stati Uniti e la Russia si muovono d’intesa ai tavoli negoziali, circostanza che però indispettisce i rispettivi partner regionali, i sauditi da un lato e gli iraniani dall’altro, che vorrebbero soluzioni più drastiche, mentre secondo quello che esce dalle indiscrezioni fornite dai soliti anonimi funzionari ai media internazionali, gli incontri Mosca-Washington tendono a seguire un indirizzo morbido: transizione politica, sì, ma inclusiva del presidente Assad, anche se con poteri limitati. E in questo si racchiude, ancora, la grossa complicazione della guerra che ormai da tempo è diventata campo di battaglia per il prolungamento di interessi e attriti esterni.

Fonti siriane spiegano a Formiche.net che questi passaggi diplomatici in realtà poco interessano alla popolazione, che piuttosto ha bisogno di medicinali e ogni tipo di assistenza sanitaria, cibo e generi di prima necessità, safe-zone (ossia zone dove non rischiare giornalmente di finire sotto le bombe del governo). I siriani sanno che in realtà tutto quello che s’è ottenuto nel paese lo si è preso con le armi, non con i processi di pace, e spesso anzi le tregue sono state occasioni per i gruppi combattenti di rinforzarsi e riorganizzarsi, per ripartire con ancora più violenza. Questo è accaduto nelle ultime settimane: c’è stato un picco degli scontri soprattutto nell’area di Aleppo, dove i ribelli si sono mossi di anticipo rispetto a un’offensiva annunciata da Damasco e alleati per riprendere completamente il controllo della città, e a rimetterci sono stati soprattutto i civili, con stime che parlano di oltre 300 morti: molto si è parlato, per esempio, dell’uccisione dell’unico pediatra rimasto nella zona di Aleppo controllata dai ribelli, morto sotto un bombardamento del governo che ha colpito il centro medico in cui operava. Situazione analoga nell’hinterland della capitale, e pure a Palmyra, la città storica che i russi avevano liberato dall’occupazione militare dello Stato islamico (unico successo della Russia contro lo Stato islamico), è stata oggetto di varie ondate di ritorno dei baghdadisti, tanto che Mosca ha dovuto istituire tra le rovine una base mobile con unità meccanizzate.

Tutte le ultime novità sulla Siria

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