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L’Unione europea è stata un creazione della Cia, soprattutto di Wild Bill Donovan, primo organizzatore dell’Office for Strategic Services, l’antenato dell’Agenzia, e di Walter Bedell Smith, primo presidente dell’Agenzia stessa.
L’idea era semplice e razionale: organizzare i Paesi europei non-Nato e quelli dell’Alleanza in una rete di relazioni economiche bilaterali con gli Stati Uniti, per fare da collante nel Movimento federalista europeo al cui vertice sedeva un uomo scarsamente filoeuropeo, Winston Churchill.
Il tutto nelle more di una guerra prevista come prossima tra Usa, Europa e Urss, e di una penetrazione economica da parte dei sovietici dell’Europa libera.

I petroli, alcune materie prime non-oil, vari minerali, tutto era stato utilizzato da Mosca per entrare nei mercati europei occidentali, in attesa di riscuotere il corrispettivo politico di queste mosse.

Allora, primo atto: il “prestito angloamericano” a Londra di 206 miliardi di sterline inizia nel 1946 e viene completamente rimborsato nel 2006. Esso è negoziato da John Maynard Keynes ed è tale da far passare di mano ogni asset economico inglese e coloniale verso Wall Street. Poi, in seconda istanza, una limitazione sulle armi nucleari britanniche, che devono essere poche e “di seconda istanza”. Infine, una serie di legami commerciali che favoriscono, anche in Gran Bretagna, Washington.

Un legame storico-linguistico tramite il quale gli Usa vogliono penetrare la futura Ue, semplificata al livello impossibile di “Stati Uniti d’Europa”e renderla vassalla economica e strategica.
La ricostruzione industriale favorita dal Piano Marshall e dall’European Recovery Program è, quindi, il trasferimento delle seconde e terze tecnologie nordamericane ai Paesi vinti, che producono quei beni e servizi “maturi” a basso prezzo e riacquistano in dollari. I beni che gli Usa non hanno più interesse a produrre nel loro Paese diventano l’innesco della nuova crescita europea. Si ricordi, peraltro, che l’Erp era stato offerto anche agll’Urss.

L’Europa Unita era, ed è in parte ancora, sostanzialmente questo. Una “federazione” di nazioni in cui la Gran Bretagna controlla la Germania, vuole rimanere arbitra del Mediterraneo contro l’Italia e la Francia e intende manipolare, ampliandolo, il suo nesso con gli Usa, che spesso lo prendono troppo sul serio.
La Germania diverrà una potenza economica per riprendere il progetto del Terzo Reich senza uno scontro bellico e appena crollerà l’Urss si riprenderà l’Est slavo e germanico in un attimo.

La guerra fredda è la foto di gruppo dei vincitori con i perdenti principali della Seconda guerra mondiale e il collante primario è la lotta contro il comunismo, creato nella Prima guerra mondiale, fatto crescere nella seconda, e intermediario politico di gran parte delle tensioni partitiche nazionali europee.
La guerra fredda è la parte finale della “guerra civile europea” di cui parlava il recentemente deceduto Ernst Nolte.

L’Inghilterra in questo contesto vuole credere alle sue vecchie memorie imperiali e mantiene uno standing militare di rilievo, per far capire agli Usa che non è come la Carolina del Sud e per difendersi autonomamente da una eventuale Europa continentale parzialmente o totalmente in mano a un nemico comunista.
Tutti, nell’Europa della guerra fredda giocano la partita dell’unità europea e quella dell’autonomia sovrana, sia quando il vicino sarà conquistato dal suo Pc o dalle truppe del Patto di Varsavia. Solo l’Italia lo fa debolmente e in modo irrazionale.

L’Europa è, quindi, di per sé un paradosso, oggi più che mai. Sopravvive in una retorica che in futuro si manifesterà con il suo inno, An die Freude di Schiller e Van Beethoven, ma vive proprio in quanto intermedia continua tra i Brueder, i “fratelli” del continente europeo, accettando anche la geopolitica avversa impostata dagli Usa. Niente presenze serie in Medio Oriente, il Maghreb lasciato ingenuamente prima ai “movimenti di liberazione” filosovietici poi al delirio della “democrazia totale”, i Balcani dati in garanzia all’assai dubbio socialismo “autogestionale” del maresciallo Tito, già erede designato di Stalin.

Un’Europa circondata da lupi, che il nuovo ordine mondiale si gioca proprio con l’Urss. Le tre successive “dottrine” dell’uso nucleare elaborate dalla Nato lo dimostrano. Dalla massive retaliation alla “risposta flessibile”, fino alle più recenti, tutte le dottrine Nato propongono l’Europa come pomo della discordia e presa di guerra. E tutto è stato, quindi, programmato per un futuro scontro, la Mors Aeuropae, da compiersi in un breve tempo, mentre il congelamento degli equilibri è stato ugualmente rapido ma imprevisto.
ome diceva André Malraux, “ gli Stati Uniti sono la prima nazione che è diventata potente senza aver mirato a questo scopo”.

Due cose cambiano completamente questo scenario: la Brexit e la nuova presenza globale della Cina.
Gli Usa, è bene qui ricordarlo, non hanno mai accettato l’Euro e lo hanno letto come moneta di conto dentro l’Ue o, più gravemente, come fastidio monetario globale. Mi ricordo le vecchie note della Banca di emissione inglese quando si ipotizzava l’entrata di Londra nella moneta unica: “Noi non entreremo”, dissero a Threadneedle Street, “perché l’Euro è una partecipazione ai debiti altrui senza garanzia, perché la moneta come tale non è una garanzia.”

Ora, quindi, con la Brexit e Theresa May che la gestisce, la situazione sta andando “ a pari” ma la premier britannica ha creato, con un vero colpo di genio geopolitico, un nuovo asse per l’Inghilterra: la Cina.
Pechino ha già avuto un ottimo rapporto con Londra: Hinkley Point C, una centrale nucleare, che vale 18 miliardi di sterline e di cui la Cina ne detiene il 30 per cento. Il deal fu, peraltro, gestito tra David Cameron e Xi Jinping.
Anche i reattori futuri di Sizewell e Bradwell dovrebbero avere una quota di finanziamento cinese e un supporto verso le banche di affari straniere. Ora, la May ha dilazionato il progetto, con qualche nervosismo da parte di Pechino, ma il premier vuole chiarimenti sui meccanismi di sicurezza nazionale britannica per tutte le centrali in gioco.

E’ bene notare che gli investimenti cinesi in Inghilterra sono già maggiori di quelli di Pechino in Germania, Francia e Italia. E’ bene sapere, poi, che i posti di lavoro dovuti agli investimenti cinesi in Gran Bretagna sono ben 265.000.
La Cina, che conosce bene la storia dell’Euro e del “federalismo europeo” non vuole impegolarsi, se non per grandi, evidenti e redditizi affari, in meccanismi finanziari non ancora stabilizzati, anzi, in via di destrutturazione, come la moneta unica europea, nata per fini politici, ma tra poco morta per gli stessi motivi.
D’altra parte, una moneta è “tempo rovesciato” e anche “signum potestatis”, anzi, il “segno” (appunto) monetario della possanza militare e politica del Re che vi effigiato. Altro che “ponti”, come quelli della cartamoneta dell’Euro, tutta autostrade nel vuoto o, meglio, acquedotti romani.

Ma Torniamo alla May: la Cina diventerà l’antemurale economico della Gran Bretagna dopo la Brexit, anche se Londra, per la sua complessa strategia verso Pechino, ha usato fin dal 1990 anche i canali diretti tra Ue e Cina.
Ora Londra userà i suoi canali nazionali e, certamente, Theresa May gestirà l’appoggio strategico cinese per: diventare il pivot della presenza di Pechino verso l’Ue; equilibrare con la Cina l’ipotetica manomorta statunitense, anche rafforzando il suo apparato nucleare e militare convenzionale; diventare il punto finale, per l’Europa del Nord, della grande iniziativa Belt and Road pensata da Xi Jinping che, con Londra, arriverebbe tranquillamente all’Atlantico del Nord e toccherebbe l’Oceano iniziale degli Usa.

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