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Il dibattito sulla politica estera e di sicurezza europea è ripartito alla grande, dopo il Brexit. Taluni ritengono che l’uscita dall’Unione del Regno Unito – ammesso che rimanga tale – eliminerà gli ostacoli che Londra aveva sempre posto all’integrazione politica e strategica. Si tratta di un’illusione. Di un mito politicamente corretto. Gli Stati europei sono sempre meno disponibili a cedere la loro sovranità: le crisi dell’euro e dei migranti non sono che la punta dell’iceberg. Di fatto, con il Brexit, l’Unione si è ulteriormente indebolita. Ha perduto la quinta economia mondiale e un paese che dispone delle maggiori risorse militari europee, di un servizio diplomatico di eccellenza e che partecipa a Echelon, il sistema globale d’intelligence.

Molte analisi effettuate al riguardo sono irrealiste. Qualsiasi politica estera e di sicurezza comune postula l’esistenza di un egemone, come lo sono tuttora gli Usa nella Nato oppure un’unione politica, sufficientemente salda per decidere della pace e della guerra. L’attuale situazione è ovunque caratterizzata da forti tendenze alla ri-nazionalizzazione. La fine della storia e dei conflitti è un’ipotesi che non regge più dopo la fine del mondo unipolare, dominato dagli Usa. Esso non è sostituito dal multipolarismo. Esso postulerebbe che le maggiori potenze condividano principi e interessi. Invece le potenze conservatrici dello status quo stanno contrapponendosi a quelle revisioniste, come la Russia, la Cina e l’Iran. In questa situazione suona quasi beffarda ogni proposta di sostanziale trasferimento di sovranità a organismi comunitari.

La creazione di un’Europa politica e strategica è tuttalpiù una foglia di fico per nascondere le proprie debolezze e incapacità o di fare seriose proposte senza capo né coda. La ri-nazionalizzazione è sempre più considerata un baluardo della democrazia. Nell’attuale situazione, di crescita in tutta Europa, dei partitio detti populisti, forse sarebbe il male minore. Le politiche estere e di difesa europee finirebbero peggio dell’euro, moneta senza Stato e senza esercito, abnorme figlio di una ventina padri differenti.

I veri federatori dell’Europa, dopo il secondo conflitto mondiale, sono stati gli Usa. Tra l’altro, solo essi possono dare credibilità – limitata finché si vuole, ma sempre credibilità – alla tripwire deterrence unica strategia praticabile per la difesa degli Stati Baltici e anche di quelli europei più orientali. Una loro difesa avanzata non è praticabile. Neppure se si schierassero le sette brigate pesanti americane, ritenute indispensabili in un recente studio della Rand Corporation.

Il Summit atlantico di Varsavia, molto pragmaticamente, si è limitato a prevedere quattro battaglioni, uno per ciascuno dei tre Stati Baltici e uno in Polonia. Essi svolgerebbero un ruolo simile a quello di rafforzamento della deterrenza svolto durante la guerra fredda all’Amf (ACE Mobile Force), le cui aree di contingenza erano previste nei settori della Nato presidiati solo da forze nazionali: dalla Norvegia alla Turchia. In caso di aggressione sarebbe stata coinvolta l’intera Alleanza. Aggressioni limitate sarebbero divenute più pericolose per il Patto di Varsavia.

Dal punto di vista della sicurezza, l’Europa non ha alternative al tenersi ben stretta la Nato, cioè gli Usa. Interessante è il fatto che in tutte le elucubrazioni fatte a proposito di sicurezza europea, nessuno parli del ruolo svolto dalle armi nucleari, che sono la componente essenziale di ogni sistema di dissuasione, cioè di non-guerra.

La Brexit avrebbe fatto cadere l’ostacolo alla difesa comune europea rappresentato dal rifiuto britannico di costituire un comando operativo europeo, separato dalla Nato, in grado di dirigere i battle groups in operazioni etichettate “Europa”. Ogni entusiasmo al riguardo mi sembra veramente campato per aria. Si dovrebbe dedicare parte delle scarse risorse europee per costituire un altro comando. Nessuno lo prenderebbe sul serio, farebbe la fine dei battle groups, che (fortunosamente!) non sono mai stati impiegati se non per aumentare il “turismo” diplomatico e militare. La sicurezza europea non ha bisogno di più generali, ma di più fondi e carri armati.

Anche la proposta degli “euro-entusiasti” di non considerare i fondi per la difesa europea nel Patto di Stabilità, mi sembra bizzarra (è un eufemismo!). I maggiori fondi produrrebbero l’aumento del debito a carico delle future generazioni. Esso sarebbe giustificato solo per investimenti che aumentino direttamente la crescita economica.

Parimente inconsistente è l’affermazione che un’Europa strategica darebbe impulso alle collaborazioni fra le industrie della difesa dei paesi europei. Esse procedono per conto loro. Nessun parlamentare nazionale rinuncerà a dire la sua per sostenere le industrie del suo collegio elettorale.

Anzi, con la ri-nazionalizzazione potrebbe avvenire proprio il contrario. Essa potrebbe responsabilizzare maggiormente taluni Stati, inducendoli ad adeguare i loro bilanci della difesa per garantirsi il sostegno americano. La cosa mi sembra particolarmente importante per l’Italia. Non facciamoci illusioni sul nuovo “triumvirato”, con la Francia e la Germania, nel quale l’Italia avrebbe sostituito il Regno Unito. I tre paesi hanno priorità strategiche diverse. Fare affidamento sul deterrente nazionale francese mi sembra una follia. Teniamoci “mamma America” sperando che continui a contribuire alla nostra sicurezza. Abbandoniamo invece i sogni di gloria di una “Grande Armée” europea, innocui solo se finalizzati a riempire qualche pagina di giornale o a fare sorridere il resto del mondo.

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